Fare il Ticino

Ho divorato l’ultimo libro di Orazio Martinetti Fare il Ticino – Economia e società tra Otto e Novecento (Armando Dadò Editore, Locarno 2013), che mi pare essere una lettura fondamentale e necessaria perlomeno per tanti giovani ticinesi che ignorano la Storia del Cantone. Chiedete in biblioteca o compratelo (20 chf), tempo speso bene!

Fare il Ticino

Di lettura scorrevole e piacevole, il libro non è enorme (171 pp.), è suddiviso in 4 capitoli (All’ombra del campanile – Franscini e Cattaneo – Baroni e operai – Lo sciopero mancato) e contiene alcune interessantissime appendici (spettacolare il verbale dell’assemblea 23.1.1919 della FOMO, sembra che in 100 anni il tempo si sia fermato, i nomi e i modi son sempre gli stessi!).

Partendo dalla realtà di inizio Ottocento, Martinetti ci prende per mano e ci accompagna attraverso una Storia sociale del Ticino, un cantone che probabilmente non aveva nessuna voglia di essere quello “Stato e Repubblica” che poi divenne. Da realtà agricola in cui convivevano interessanti particolarismi (forte il discorso delle vicinanze e dei beni comuni, tema peraltro oggi molto discusso in Italia da autorità assolute come Grossi, che pure cita gli studi di Cattaneo sulle nostre valli [Paolo grossi, “Un altro modo di possedere” rivisitato, estratto dal volume Archivio Scialoja-Bolla, Giuffré, Milano 2007]) il Ticino non ha seguito il percorso modernizatore che ha attraversato l’Europa, arrivando sempre un po’ in ritardo e mai completando del tutto quel passaggio alla realtà industriale dominante altrove.
Martinetti ci presenta quindi i due grandi pensatori Franscini e Cattaneo e il loro credo nelle scienze come motore propulsivo di modernità (la statistica, base per l”ideologia civile”, verrebbe da dire). Come figlio di una scienziata della statistica non posso che spezzare una lancia per questo tuffo nel mare della ricerca di certezza sui dati. Ancora oggi, nel mondo della tecnica, siamo sopraffatti dalla speculazione intellettuale e dal tentativo di “prevedere” un mondo ideale, ovvero presente solo nella nostra testa, rimanendo avulsi dai duri fatti del presente. Ieri come oggi: più scienza, meno congetture!
Degno di nota è l’afflato con cui viene descritta, nel terzo capitolo, la condizione degli operai del traforo del Gottardo. L’opera, mitizzata ai giorni nostri, si inserisce in un contesto storico sociale spesso ignorato o volutamente dimenticato. Chi era il committente? E chi erano i lavoratori? Come vivevano, che conflitti c’erano? Piccoli filamenti storici che forse potrebbero servire a sciacquare la bocca a chi abusa della pretesa identitaria di un cantone che troppo spesso, oggi, omette la realtà per farsi bello agli occhi di una popolazione poco consapevole.
Infine lo sciopero nazionale del 1918, cesura storica nella vita della Confederazione Elvetica e avvenimento completamente mancato in Ticino. Nessun stupore, che il nostro cantone sia al traino da secoli è storia nota, bello però come Martinetti riesca a mettere in luce i motivi del fallimenti, facendo un’analisi diversa da quella addotti a suo tempo da chi lo sciopero lo conduceva. Motivi che riescono oltretutto a farci meglio capire la realtà sociale attuale in Ticino, figlia di uno sviluppo altro rispetto ai nostri nord e sud.

Martinetti non fa una storia completa del canton Ticino. Né fa la solita genealogia dei potenti, che tanto fa piacere a un cantone familistico e oserei dire “mediterraneo” come è il nostro (un accenno va qua fatto a Niklas Luhmann, Kausalität im Süden, Soziale Systeme 1 (1995), pp. 7-28). L’autore dà piuttosto degli appigli di lettura della nostra Storia identitaria, leggendo fatti che hanno fatto discutere e hanno inciso in profondo nella coscienza collettiva.  Dal fastidio verso i balivi ai problemi con i germanofoni, tanto gravi da far assurgere l’Italia a punto di riferimento rassicurante, da questo libro trastraspare l’immagine di un Ticino diverso da quello che viene narrato oggi. In fondo ad inizio secolo erano i nostri nonni e bisnonni ad esserne protagonisti, com’è possibile che la prospettiva sia cambiata così radicalmente?

Aspetto e spero quindi con ansia che Martinetti continui con questo suo lavoro, riprendendo il filo lasciato al 1918 e ci accompagni attraverso il secolo breve con questo suo modo piacevole e intenso di scrivere.
Storia e divulgazione, quanto ne abbiamo bisogno!

F.C. 4.4.2013