Frank Underwood, il mito
Frank Underwood. Il nome è tetro, il personaggio imperscrutabile, l’ambientazione oscura. House of Cards, la storia delle vicende politiche del capogruppo dei democratici al senato americano.
Underwood è diventato un mito per tutti quelli che si appassionano un po’ di politica. Ed è una sorta di esempio malefico per tutti quelli che la fanno. Il suo stile, la sua lucidità di analisi, la sua lungimiranza. L’impossibilità di capire prima quali siano i suoi scopi, l’abilità di tessere disegni strategici. Un genio.
Frank Underwood, l’esempio. Frank Underwood, il segnale che la politica non è quello che vorremmo che fosse. Ma: Frank Underwood, la banalizzazione della politica.
House of cards insegna prima di tutto una cosa importantissima: i soldi sono solo uno degli strumenti di potere. Ce ne sono altri, il potere politico ad esempio. O quello giornalistico. Meglio ricordarselo, soprattutto quando si vuole fare (e qua entro nella politica nostra) le verginelle pensando che solo la ricchezza dà potere e meschinità.
I soldi rimangono una questione centrale. Underwood, democratico abbastanza sociale e abbastanza ambientalista, gioca con la SanCorp, che raggruppa gas e raffinerie. E gioca contro il nucleare (ma è vero?). Sposta milioni, trova le condizioni per far costruire di qua piuttosto che di là, crea e distrugge posti di lavoro. Altra nota: anche da noi funziona così. le nostre decisioni politiche influenzano la produzione economica. E la domanda deve sorgere spontanea: dove sta il limite fra interesse pubblico e la corruzione?
Frank Underwood è mitizzato, Obama segue la serie con passione. Perchè? Perchè è dannatamente reale. Ma è una mitizzazione sbagliata. O meglio: non si può partire da lui per intendere la politica. In House of Cards non emerge mai un disegno politico oltre alla sua volontà di diventare presidente degli Stati Uniti. Non c’è altro, è la politica per la politica, sistema ermetico e circolare. Non c’è una visione sociale, non c’è una direzione. La linea politica è data per assunta, è come se il programma di partito fosse nello sfondo, assente e presente, immanente ma non necessario. Uno strumento, pure quello, per ottenere la volontà individuale.
Il partito per Frank Underwood è una navicella di utili idioti, piena di umani bramosi di potere tutti comprabili oppure ricattabili, ma vuota di contenuti. Il riferimento sono sempre “i miei elettori” e mai “le mie idee”. L’elettore è visto come una sorta di consumatore cretino. Non c’è quindi un limite etico politico.
Soprattutto: non fa neppure ribrezzo, a chi mitizza Underwood, il piccolo dettaglio che quest’uomo geniale sia un assassino. Assassinio, quel reato punito con la morte fino a poco tempo fa anche in Svizzera, poi con la pena perpetua. L’assassinio è la negazione della politica. La politica è convivenza, l’assassinio è assenza dell’altro.
La connotazione (per me sbagliata) a prescindere del sistema politico come un sistema immanentemente corrotto fa leggere la cattiveria di Frank Underwood come un atto crudele sì, ma necessario. Lo spettatore non è schifato, è incuriosito. Non c’è speranza che venga fermato, c’è curiosità nel sapere dove arriverà, se riuscirà a farla franca, se sarà abile nel nascondere la realtà. La realtà diventa finzione, basta manipolarla e non è più realtà. E se lo beccano, beh, colpa sua. Chi sbaglia deve essere punito, se non condivide l’asse di valori della legge tanto peggio per lui. Underwood sbaglia, ci piacerebbe fosse punito, ma finchè non lo beccano vada avanti, lo vogliamo presidente anche noi spettatori.
Sembra che guardiamo House of cards, in realtà stiamo leggendo Kant.
Stiamo attenti, perchè la chiusura della politica su sé stessa, l’idea che i nostri politici si fanno sulla politica su figure forti come Frank Underwood fa perdere di vista un dettaglio non insignificante: la politica incide in modo pesante e violento sulla vita quotidiana dei cittadini. Non sono i “miei elettori”, i concittadini sono gli appartenenti alla mia stessa comunità. Sono i miei compagni di viaggio. Il politico è una persona al servizio degli altri, non il contrario.
Guardiamo House of cards, lasciamoci prendere e impressionare. Ma con occhio critico, non banalizziamo la politica.
F.C.
P.s. trovato giusto oggi, si adatta all’uopo: “Che i re filosofeggino o i filosofi diventino re non è da attendersi e neppure da desiderarsi, poiché la proprietà del potere corrompe inevitabilmente il libero giudizio della ragione”. Kant, in “Per la pace perpetua” (1795) – F.C. 9.10.2014