L’iniquità del “Managed Care”

Lo scrivo con amarezza, ma inevitabilmente: anche stavolta sarà necessario votare no all’ultima riforma della cassa malati, al cosiddetto managed care . L’argomento riscalda i cuori e il portafoglio: i premi dell’assicurazione malattia in vent’anni sono ormai raddoppiati.

I motivi per votare no sono tanti, il sistema nebuloso che si vuole inserire non aumenterà la fiducia dei pazienti e probabilmente creerà delle vere e proprie differenze nella qualità delle cure a dipendenza della cassa malati di cui si dispone. La riforma ha origine da un’ottica esclusivamente finanziaria del problema assicurazione malattia, ma è un grave errore: la medicina è anzitutto un problema umano e in quanto tale va affrontato. Umanità nel rapporto con i medici, equità nel rapporto finanziario.

Per questo un tema mi sta più a cuore degli altri: si tratta del contributo alle spese sanitarie per i costi che superano la franchigia (chiamato anche aliquota percentuale). Come sappiamo, infatti, se p.e. veniamo ricoverati in ospedale o se dobbiamo curarci per un periodo prolungato, molto probabilmente spenderemo più di quanto previsto dalla nostra franchigia. Oggi l’articolo 64 LAMal stabilisce che fino a una certa somma il 10% di quei costi li paga il paziente. Cioè noi. Sul sito della Confederazione si può leggere che, con l’approvazione della riforma, «coloro che decidono di aderire a una rete di assistenza integrata ottengono una riduzione dell’aliquota percentuale». La disonestà intellettuale è palese: la riforma di legge va a toccare esattamente l’articolo 64 LAMal e aumenterà l’aliquota dal 10 al 15% se si mantiene la copertura assicurativa attuale. Non è quindi vero che chi aderisce alla rete ottiene una riduzione, quanto piuttosto accade che chi non aderisce a questa nuova impostazione «manageriale» delle reti di cura deve subire un aumento dell’obbligo di partecipazione ai costi! La strategia politica da questo punto di vista ormai la conosciamo bene, è in atto da parecchi lustri in vari ambiti dell’amministrazione federale e cantonale. Lo Stato, senza tanto scalpore e senza aumentare troppo alla volta, fa pagare i suoi servizi sempre di più a chi guadagna meno.

Da un’impostazione equa per cui ognuno paga in base a quanto effettivamente può, si sta andando verso il concetto ingiusto che tutti pagano uguale: chi guadagna poche migliaia di franchi al mese paga i servizi pubblici come i benestanti che non hanno tanti pensieri dovendo mettere mano al portafoglio. Basta osservare le ultime riforme: l’IVA è aumentata, i canoni dell’acqua e dell’energia sono aumentati, gli abbonamenti del treno sono aumentati, i biglietti dei bus sono aumentati, è aumentata la Billag, i premi delle casse malati stesse sono aumentati. Diminuiscono solo due cose: le prestazioni ai nostri giovani disoccupati e le imposte sugli utili delle imprese. Quest’ultimo è un regalo ignobile a chi veramente non ne aveva bisogno, che ha fatto e farà perdere miliardi alla Confederazione e ai Cantoni (e tutto grazie alle informazioni volutamente false di Hansruedi Merz, il «miglior ministro delle finanze d’Europa» come ebbe a affermare Fulvio Pelli). Insomma, a fronte di statistiche che indicano un arricchimento costante delle fasce alte della popolazione e una sostanziale battuta d’arresto di tutti gli altri, possiamo notare come le riforme economiche e sociali in Svizzera non fanno altro che aumentare le spese proprio a coloro che dovrebbero invece essere sostenuti. Come un Robin Hood al contrario, insomma.

Il managed care va esattamente nella stessa direzione. Chi sta male viene colpevolizzato e nel contempo si vede messo di fronte all’obbligo di scegliere una rete di cura imposta dalla cassa malattia, pena un aumento secco delle spese (e probabilmente del premio). L’ho scritto all’inizio: l’argomento scalda il portafoglio. In particolare lo scalda a coloro che alla fine del mese non possono permettersi il lusso di pagarsi il 15% delle cure oltre la franchigia, visto che già il 10% spesso sorpassa le già tante spese preventivate da una famiglia media. Purtroppo è così: la politica (liberale) di questi tempi non riesce a trovare altre soluzioni che nella riduzione del potere d’acquisto dei soliti noti.

Filippo Contarini, giurista, Porza

pubblicato il 5 giugno 2012 sul CdT