La protesta universitaria

Esattamente un anno fa è partita dall'Austria una protesta universitaria che ha coinvolto parecchi atenei europei ed alcuni svizzeri; molte aule sono state occupate, i rettori hanno dovuto impegnarsi al meglio per riportare la situazione alla calma. Ciò che gli studenti in prima linea criticavano era il sistema introdotto con la Dichiarazione di Bologna e le sue conseguenze sul mondo accademico. Una settimana fa Umberto Eco ha scritto sul tema (repubblica.it, 15 ottobre) e penso sia importante parlarne anche in Ticino. Ritengo, come Eco, che il sistema di Bologna non sia sbagliato in sé e che gli studenti, volendo protestare, dovevano battersi su altri campi. Ma cos'è in realtà il sistema di Bologna? La Dichiarazione, sottoscritta dalla Svizzera nel 1999, è una carta che svariati Stati hanno firmato per unificare il sistema universitario europeo ed agevolare la mobilità al suo interno. Il concetto è semplice: dividere in due il percorso di studio (sistema Bachelor-Master che, a dire la verità, ha scorrettamente allungato di 6 mesi – 1 anno la durata degli studi) e permettere di frequentare la seconda parte in un ateneo diverso da quello della prima. C'è un problema sostanziale: come si fa a capire se uno studente francese di Poitiers ha studiato nel Bachelor quanto uno studente tedesco di Berlino? A questo proposito sono stati creati i cosiddetti crediti (ECTS), un credito vale circa 40 ore di lavoro. Quindi se uno studente segue un corso con esame finale del valore di sei crediti, si suppone abbia studiato, frequentato la lezione e ripetuto per circa 240 ore. Bologna è solo questo. Ad ogni Stato è infatti stata lasciata la più totale libertà di organizzare le proprie università. La rivolta studentesca lamentava la nascita di una forte commercializzazione dell'università, l'abbassamento complessivo della qualità dello studio, l'aumento degli orari di studio e del carico di materiale da leggere, nonché la caccia ai crediti facili. Dando la colpa al sistema di Bologna per tutto ciò. Porre queste critiche al sistema piuttosto che esclusivamente alla propria università è però un errore enorme. È infatti vero che in Svizzera l'autonomia lasciata ad ogni istituto ha permesso ad alcune sedi di non ricadere in nessuna delle critiche sopra esposte: a) non hanno perso la propria indipendenza economica e quindi accademica, b) non hanno inserito alcun obbligo di frequenza, c) non hanno perso qualità e comunque non hanno aumentato il materiale di studio, d) non appoggiano la corsa ai crediti, in particolare non creano concorrenza selvaggia fra le materie, e) garantiscono che ci sia un giorno libero alla settimana, f ) garantiscono un continuo dialogo docenti-studenti per risolvere assieme i problemi di istituto. Le critiche al sistema erano quindi concettualmente sbagliate e non giustificavano l'ondata di indignazione che c'è stata, visto che il problema è in realtà da regolare in ogni distinta sede. Con ciò non voglio sostenere che il mondo universitario sia idilliaco. Bisogna però capire dove una protesta può veramente ottenere risultati. Bisogna ad esempio dire ad alta voce che il sistema universitario svizzero (e ancor di più quello europeo), oltre ad aver aumentato il periodo di studi, ancora non riesce a creare un riconoscimento completo dei crediti ottenuti in un altro ateneo. Bisogna inoltre far capire ai parlamenti edai governi che l'aumento delle tasse d'iscrizione e l'abbassamento dei finanziamenti allo studio provocheranno un distacco sociale viepiù grande ed iniquo, facendo diventare l'università un ambiente di casta invece di una risorsa per la collettività.

Filippo Contarini, Porza
Corriere del Ticino, 29 ottobre 2010

zp8497586rq