La scuola Diaz tra democrazia e violenza: chi controlla lo Stato?
Nel 2001 avevo 15 anni. Un'annata di fuoco, considerando che hanno attaccato le Torri gemelle, hanno attaccato il Parlamento di Zugo e hanno attaccato la scuola Diaz.
Già allora avevo capito che non ero un no-global, né tantomeno un movimentista. Guardavo con estrema diffidenza tutti quei giovani che manifestavano contro il G8 di Genova e vivevo malissimo la presenza dei blackbloc e il fatto che venissero tollerati, la violenza in genere mi sembrava un insulto all'idealismo delle manifestazioni di piazza. Ascoltavo quindi solo le notizie su ciò che faceva la polizia per arginare quella piaga e mi disinteressavo di tutto quanto effettivamente succedeva al Social Forum. Mi ci sono voluti anni per rielaborare le informazioni sui fatti di Genova, per capire ciò che veramente avvenne.
Sono passati 11 anni, alcuni dei responsabili delle atrocità commesse alla scuola Diaz e alla caserma Bolzaneto sono stati condannati in via definitiva proprio in questi giorni. L'incoerenza del sistema penale italiano ha permesso che molti di quei reati cadessero in prescrizione, l'incoerenza del sistema politico italiano ha permesso che alcuni dei capi della «macelleria messicana» venissero addirittura promossi dopo lo scempio. Sono passati 11 anni da quei giorni bui e oggi un film, Diaz, sta cercando di raccontarceli in tutta la loro crudeltà. Il regista Vicari non fa – giustamente – sconti allo spettatore: due ore di violenza e umiliazioni allo stato puro, il racconto dell'imposizione assoluta dell'animale-uomo sull'uomo-uomo, il racconto della perdita di umanità, ho pianto.
Soprattutto, però, ho pianto perché chi picchiava, in quella scuola, era lo Stato. E l'unico che avrebbe potuto salvare quelle decine di donne e uomini, ragazzi, anziani, giornalisti, era lo stesso Stato che li stava picchiando. Mentre si guarda Diaz dentro di sé ci si rende conto che quei disperati non potevano chiamare aiuto. Nessuno avrebbe potuto far niente, nessuno sarebbe potuto intervenire. Non i genitori. Non gli avvocati. Non i giudici. Non le manifestazioni di piazza (come ce ne furono). Perché da noi, nelle nostre civiltà occidentali, democratiche e non, lo Stato ha il monopolio della violenza e quando ha deciso di usarla cala il segreto e nessuno può fermarlo. Ma per i prigionieri della Diaz e di Bolzaneto, in quei giorni, l'unica differenza fra lo Stato e una banda criminale armata erano le mostrine sulle spalle dei poliziotti.
Si dice che durante il G8 di Genova la democrazia e lo Stato di diritto «sono stati sospesi». Ad osservare bene, però, questa «sospensione» non è veramente un imprevisto. Il sistema democratico non è stato completamente messo in ginocchio e nemmeno il concetto di Stato di diritto è saltato. Sia la democrazia, sia lo Stato di diritto sono sistemi ben coscienti che al loro interno qualcosa potrebbe andare storto e subito si adoperano per riassorbire le rotture. E infatti l'opinione pubblica e i giudici hanno rimesso ordine, ricucendo lo strappo e denunciando (come lo stesso film di Vicari benissimo fa) i fatti di Genova come qualcosa che non ha da ripetersi.
Questo però non può bastarci. Forse basta alla politica di tutti i giorni, quella per cui si discute delle piccole cose, per cui si cerca di trovare sempre il buon compromesso, senza tanti litigi. Forse basta a coloro per cui i «mai più» sono sempre solo una speranza più che una ricerca di certezza. Forse basta a tutti coloro che si rinchiudono nella filosofia e nei sistemi ideali. Ma non può bastare a noi se vogliamo ragionare concretamente sul sistema sociale in cui viviamo, guardando i fatti duri e crudi. E i fatti indicano purtroppo che c'è qualcuno, identificato con lo Stato, che nessuno può controllare. Da destra a sinistra, dai liberisti ai comunisti, passando da ciellini e liberi muratori, tutti vogliono che lo Stato controlli più o meno fortemente la società. Per fare questo danno allo Stato il monopolio della violenza. Ma chi controlla lo Stato?
Ogni volta che si cerca di rispondere a questa domanda si entra in un circolo vizioso: lo Stato è controllato dai giudici, dal governo, dalle commissioni di vigilanza, dal parlamento. Alla fine si arriva sempre a dire che è il popolo a controllare lo Stato. Ma chi controlla che il popolo abbia tutte le informazioni necessarie per controllare bene? Siamo sicuri che il popolo sappia sempre controllare bene? E se c'è una grande sollevazione popolare contro la polizia (quindi contro lo Stato), chi controlla quale dei due abbia ragione? È il popolo stesso che deve autocontrollarsi?
Risposte a questi quesiti nei programmi dei partiti politici non se ne trovano. Nessuno si chiede «chi controlla i controllori?», tutti si accontentano della democrazia, dei suoi rappresentanti eletti e del fatto che lo Stato ha il monopolio della violenza, appiattendosi sull'idea di Winston Churchill che disse: «La democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte quelle altre forme che si sono sperimentate finora».
Guardando Diaz, vedendo in faccia il lato oscuro del nostro sistema, vedendo il terrore dei prigionieri innocenti di fronte allo Stato, di fronte alle sue mostrine, dobbiamo aprire gli occhi e darci una nuova carica. Non possiamo fermarci, dobbiamo continuare a cercare, provare ad andare oltre Churchill. Dobbiamo studiare la nostra storia e i paradossi della nostra società. Dobbiamo esplorare, inseguire nuovi sistemi che siano ancora meglio dello Stato, della democrazia e del monopolio della violenza. Altrimenti Diaz sarà solo l'immagine sbiadita di una speranza, e la democrazia potrà tranquillamente venir «sospesa» di nuovo.
Filippo Contarini, giurista
Articolo pubblicato sul CdT del 13 luglio 2012