Teatro, non copriamo il suo fuoco
Articolo di Alessandro Bergonzoni pubblicato su repubblica.it il 26 ottobre 2020. Lo riposto senza averne i diritti e sono pronto a eliminarlo qualora sia di disturbo averlo ripubblicato.
Il teatro è l’anima che non si può chiudere, lo dico apertamente, questo è molto ed è sicuro. La visione è contagiosa sì ma non ammala, anzi cura, guarisce, lenisce.
Non può mancare perché protegge e fa rivivere, espande e sorprende, dilata e dilaga. Preserva dalla paura di non essere, non essere ancora, non essere più, non essere mai.
La ripartenza nasce anche da qui e, forse, anche la salvezza non solo quella umana ma anche quella del fantastico puro e non semplice che attraverso le sue meraviglie alletta il sogno, lo svela come segreto ormai nudo. Si tratta della luce che non si spegne mai, quella delle idee che scrivono, delle parole che scandiscono, del fuoco necessario alla nostra sussistenza infinita e piena d’eterno. Si tratta del verbo dei corpi speciali, delle forze del disordine che predispongono all’esistenza, accudiscono il bene e non ci permettono di finire male. Si tratta di nuovi segnali per un’altra strada da fare, strada maestra che il teatro ha nelle sue mille mansioni, nel suo perenne aprirsi per auscultare il nostro battito comune.
È una febbre dello spirito che non passa e nemmeno il Dio mercurio può misurare, qui i numeri non contano, c’entrano gli addetti all’universo, la poesia in carne e ossa, il pindarico impossibile, l’occulto che da mistero si fa verità multipla e segugia mentre fiuta la bellezza. Dobbiamo far sì che la bellezza non salti il mondo.
Chiudeteci dentro non chiudeteci fuori: si tratta di amori che sanano e tempo che prega, di onda che ti insegue per farci infrangere e continuare a bagnare una terra che secca morirebbe di crepa cuore. Lasciate aperto questo spiraglio, fate passare quest’aria pulita, fatecela respirare, le persone ormai ne hanno un bisogno ancestrale, atavico, animale. Il sipario è una narice, il palco il suo antico polmone, la scena, madre, ha bisogno dei suoi figli, non facciamo orfani dell’arte, lasciateci rimirare, musicare, cantare, danzare, saltare, salpare; non fateci ammarare, non lasciateci spiaggiare in riva alle culture, dateci ancora il mare aperto per non soffocare. Ve lo chiediamo a mani giunte, appena giunte per applaudire ancora chissà quanti infinire. Lo so ci vuole coraggio, ma fatemi ripetere: lasciate che sia la bellezza a darcelo non la paura a togliercelo.
Grazie.