Diritto penale, punizioni e giustizia

Politica del Diritto penale a sinistra

La sinistra non è nota per avere posizioni politiche chiare sul Diritto penale. Anzi, si potrebbe dire che, a parte alcuni temi legati ad altri cavalli di battaglia, latita. Io invece sono dell’idea che bisogna parlarne a tutto campo, senza tabù di sorta. Non basta chiedere un’azione penale più incisiva nei confronti dei manager delle grandi aziende, in contrapposizione con le idee liberiste che vorrebbero vedere completamente libero chi ha a che fare con il capitale. Certo, è un tema importante, ma non è l’unico.

Un primo tema di sicuro impatto sociale è quello dell’uguaglianza davanti alla legge. Dopo le sentenze, non solamente Prima. La sanzione penale, che  voglio ricordare alcuni influenti teorici ritengono semplicemente un simbolismo accessorio alla comunicazione giuridica, deve essere rimessa in discussione, riconcepita secondo nuovi canoni. In particolare bisogna chiedersi se basti avere solamente 3 tipi di sanzione (più alcune misure) e se sia giusto che le sanzioni siano uguali per tutti. Dico questo non perché, come nei Paesi vicini, si vorrebbe vedere i potenti intoccabili di fronte alla legge. Dico questo perché troppo spesso mi è successo di sentire di poveracci colpiti da una pena e di vedersi la loro grama vita rovinata e invece di multimilionari puniti che hanno potuto svolgere la stessa (se non migliore) vita dopo un processo penale. Allora la pena è veramente solo un simbolo!

È infatti importante considerare che se la società vuole ignorare la punizione, questa è come se non fosse mai stata data. Punto. Agli occhi del mondo esterno la pena, dopo essere stata scontata, è infatti una scritta su un pezzo di carta (casellario giudiziario). Se non si vuole leggere il pezzo di carta, la pena è come se non esistesse. Questo deve far riflettere, perché pone ombre nerissime su tutto il sistema giudiziario, sulla legittimità dello Stato, sul concetto stesso di giustizia e di uguaglianza.

Il principio di uguaglianza statuisce che gli uguali vanno trattati in modo uguale, i diversi invece in modo diverso. Non si può trattare un tetraplegico come una persona sana, non si può pretendere che lavori, perché questo sarebbe una lesione del principio di uguaglianza.

Ebbene, penalmente è sbagliato trattare i multimilionari come i poveracci, perché attualmente la pena su di loro non può avere lo stesso effetto. Bisogna riconsiderare lo strumento penale in base agli effetti sociali che esso scaturisce. Innanzitutto quindi concentrarsi sul risultato che un processo garantisce ali occhi della vittima. In secondo luogo come questa verrà considerata dal mondo esterno. Se una pena minima porta alla distruzione sociale di una persona, bisogna capire come renderla ancora più mite. Se una pena grave non ha reali effetti sociale è invece importante capire come renderla ancora più grave.

La politica su questa questione ha grandi poteri, è importante che li usi.

La sanzione penale vista da sinistra?

Non è raro che in Ticino si discuta pubblicamente sull’entità della pena da infliggere ad un criminale. Il tema è delicato, facilmente strumentalizzabile, spesso oggetto di disquisizioni politiche. La sinistra spesso si pone univocamente contro le visioni della sanzione penale come una vendetta, mi chiedo però se una tale presa di posizione sia completamente giustificata.

Fra i vari tipi di teorie della pena che la filosofia del diritto ci propone, due di solito prevalgono. Da un lato le teorie assolute, dove la pena ha la funzione di vendicare, o comunque compensare, il torto subito. Dall’altro le relative, dove la pena svolge la funzione di prevenire altri delitti.

Nelle teorie relative vi sono due tipi di prevenzione: quella generale e quella individuale. La prima serve come deterrente sociale. La seconda serve invece a “recuperare” chi ha già commesso delitti.

Possiamo criticare le teorie relative della pena? Certamente! La prevenzione individuale parte dalla falsa premessa che chi delinque è una persona “sbagliata” o, peggio ancora, “malata”. Sarebbe quindi necessario “risocializzarla” per “reintegrarla” nella comunità. Questa considerazione, molto romantica nell’immaginario collettivo, pone due problemi. Innanzitutto non è vero che tutti i criminali sono “risocializzabili”. In secondo luogo non si tiene conto del fatto che possano esserci leggi penali con le quali non tutti sono d’accordo (p.e. oggi la punibilità di un uso  minimo di cannabis o, ieri, la punibilità dell’omosessualità). Qua i limiti della prevenzione individuale sono palesi. L’appiattimento sociale ad un modello unico di persona “giusta” non è mai stato, a parte bui periodi dittatoriali, una rivendicazione di sinistra, anzi. Si è sempre lottato per avere una società libera, che necessariamente prevede anche che qualcuno la pensi in modo diverso dalla legge.

Parlando della pena come strumento di prevenzione generale ci addentriamo invece in concetti come umanità e uguaglianza, concetti cari alla sinistra. Prevenzione generale significa, in parole povere, “punirne uno per educarne cento”. Nient’altro che una bieca oggettivazione dell’essere umano, pur ladro, traditore, gay o fumatore di cannabis che sia. Nello stesso momento in cui si decide l’entità di una pena facendo un calcolo “utilitaristico” si rinuncia alla qualità di soggetto del reo. Lo si dichiara “meno uguale” del resto dei membri della società e lo si fa diventare strumento dell’azione statale. La sinistra si batte per la dignità umana, che nella prevenzione generale è palesemente lesa. Le teorie relative sono quindi, in ottica socialista, di principio insostenibili.

Ci si dirà: <<sì, ma un criminale ha leso la legge, non facciamo nulla? Non deve “pagare” per quello che ha fatto?>> Anche qui ci muoviamo su terreni insicuri, entrando nel campo delle teorie assolute. Dove parliamo di vendetta e di compensazione (“pagare per il delitto commesso”), parliamo di arbitrio. Ci possiamo, infatti, chiedere secondo quale criterio una pena è inflitta per “compensare” il reato commesso. La realtà è che criteri razionali non ce ne sono, e non se ne possono avere! La pena è assegnata in modo puramente “sentimentale”. Anche dove ci si appoggia su sentenze precedenti, si è consapevoli che esse erano inizialmente “sentimentali”. In fin dei conti la pena assegnata secondo le teorie assolute finge di “ripristinare” un equilibrio perduto, in realtà lascia al giudice decidere, in modo un po’ sadico, quale male infliggere a chi è caduto in fallo. In un‘ottica di sinistra tutto questo è seriamente problematico, poiché una parte politica che fa dei diritti umani il suo cavallo di battaglia non può di principio giustificare il puro arbitrio giudiziario.

Come si vede, leggere il problema della sanzione penale, in particolare in un’ottica di sinistra, non è di facile soluzione. Il rifiuto in toto di una teoria a favore dell’altra rischia di travisare i problemi esistenti in entrambe. È proprio qui che bisogna affrontare la questione del moralismo, che di solito tende a rifiutare le teorie assolute a favore delle, a mio avviso altrettanto insostenibili, teorie relative. Come risolvere quest’impasse? Verosimilmente non si può. Quello che si può fare è aprirsi al dialogo con chi la pensa diversamente. Di sicuro è più utile che uno sterile muro contro muro.