Cos’è la radical legal history

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La radical legal history dice che siamo sempre contemporanei a ciò che viviamo.

La radical legal history è un metodo. Risponde a un problema semplice: troviamo la stessa parola in una fonte giuridica oggi e 150 anni fa, o 150 anni fa e 300 anni fa, o oggi e 2000 anni fa. Questa “omofonia” (Caroni) ci rende irrequieti. La domanda di fondo è: com’è possibile che nonostante stiamo vivendo vite e storie completamente diverse oggi da ieri, usiamo la stessa dannata parola? Cosa stiamo nascondendo dietro quella parola?

La radical legal history ricostruisce i contesti di ogni contemporaneità per indagare gli scostamenti di senso che emergono nella storia del diritto. Essa premette che le parole che a prima vista vogliono dire ancora esattamente la stessa cosa, in realtà portano su di sè necessariamente mondi di differenza. La radical legal history è quindi senza dubbio un’archeologia del sapere. Ma è una materia giuridica. Ha una funzione propedeutica: ridare al giurista il senso prospettico della storia nel nostro “presente ampio” (Gumbrecht). Materia giuridica aperta, studia la stabilizzazione normativa nella società. Ovvero: premette che nei contatti sociali l’umano ha elaborato elementi di sincronizzazione che coagulano nel processo giudiziario. Il processo, le sue norme e gli attori della Giustizia sono gli elementi della radical legal history, che ne vuole conoscere il mondo, in senso – radicalmente – interdisciplinare.

Questo metodo non pone al centro il conflitto, come invece sembra essere sempre più di interesse nell’ambito scientifico. Il motivo è disciplinare. La radical legal history vuole rimanere ancorata alla facoltà di giurisprudenza. Gli studenti di giurisprudenza non studiano i conflitti, ma piuttosto come il sistema giuridico incapsula i conflitti attraverso le sue strutture. Il conflitto, detto in altre parole, e parte dell’ambiente del sistema giuridico, come anche altri elementi della società, fra cui possiamo oggi annoverare la politica, l’economia e la religione.

Concentrarsi sul processo, sulle norme e sugli attori della Giustizia nella forma del radicale contemporaneità pone il problema di principio di sapere se si possano già comparare questi elementi in chiave storica. Un giudice francese del 1650 e un pretore romano del secondo secolo d.C. hanno veramente ancora qualcosa in comune? Per molti storici del diritto questa domanda sembra a tratti scontata: ovviamente, fatti tutti distinguo, la figura del giudice francese deriva da quella giudice romano, Mi permetto allora di rendere la domanda provocatoriamente più colorata: un propretore nelle province romane ha qualcosa in comune con un intendente delle colonie francesi del XVIII secolo? non appena si lascia il sentiero battuto delle storie di continuità, ci si rende conto che – al di là del mito – nella storia del diritto ci si sente subito disorientati non appena si osservi un istituto giuridico da vicino. verrebbe quasi da dire che un giudice del passato è talmente diverso culturalmente da uno del presente che qualsiasi comparazione è assurda. se dal punto teorico questa obiezione pur comprensibile, ma si comprende però perché allora si può usare il conflitto come chiave di volta per studiare il diritto nel suo passato (Benton). siamo piuttosto consapevoli che parlare di processo, norme, e attori della Giustizia non è un tentativo di predeterminare ciò che guarderemo nella storia, ma piuttosto sono degli operatori che ci permettono di chiedere alla storia di mettere in discussione proprio ciò che pensiamo già di conoscere prima di interessarci della contemporaneità del passato indagato. l’obiettivo dello storico del diritto, dette in altre parole, e continuare a scoprire di avere torto.

Per lavorare in chiave interdisciplinare sulla storia del diritto è necessario ricostruire i depositi del sapere che nel tempo vengono costruiti, distrutti, interpolati, manipolati, rimaneggiati, inventati, e collegarli all’immaginario (Whitmann) in cui è inserito il sistema giuridico sotto osservazione. costruito un immaginario significa interessarsi all’essere-nel-mondo in chiave storico-antropologica delle culture che vengono affrontate nei propri studi. ovviamente questo essere nel mondo risponde ha bisogni sociali plurali e non può a sua volta essere stabilito in modo definitivo. queste incertezze instabilità non ci fanno paura, soprattutto considerando che come giuristi abbiamo non di rado la possibilità di sostenerci sul testo: la fonte normativa, il verbale archiviato, l’espressione di vita sociale degli attori della Giustizia, il contesto umano e sociale in cui si muove il sistema giuridico.

(continua)