La garanzia del parlamento federale e la legge contro la copertura del volto

Entriamo nel vivo della polemica e discutiamo un po’ della garanzia federale data alla norma antiburka tanto voluta da Ghiringhelli.

Il Ghiro ha lanciato un’iniziativa costituzionale (e non legislativa) proprio per avere con sé la maggioranza del parlamento federale borghese. E quindi quella garanzia è la sua forza, il suo gioiello. Il problema è che io, a differenza di quanto sostiene lui, veramente del burka non mi interesso. Ciò nonostante sono contro la sua legge sul divieto di dissimulazione del volto. Il motivo: limita in modo sproporzionato i diritti politici dei cittadini laici. E su questo punto la sua garanzia federale non può nulla, vi spiego rapidamente perchè.

La norma costituzionale ticinese, garantita dal parlamento federale, dice: “Nessuno può dissimulare o nascondere il proprio viso nelle vie pubbliche e nei luoghi aperti al pubblico (ad eccezione dei luoghi di culto) o destinati ad offrire un servizio pubblico. Le eccezioni sono stabilite dalla legge”.

Alcuni giorni fa il parlamento ticinese ha allora concretizzato questa norma e ha elaborato, in due leggi, una lista di eccezioni che avrebbero dovuto fare terra bruciata attorno al burka. Come ho già potuto scrivere, secondo me in realtà il burka non lo hanno vietato, anzi. Hanno però sacrificato sull’altare dell’ipocrisia i nostri diritti politici.

Il problema è serissimo: il Ghiro e il nostro legislatore si sono dimenticati che può essere molto importante potersi coprire il volto per questioni politiche. La libera espressione delle idee politiche è infatti il principio cardine della nostra democrazia. C’è il pericolo di ripercussioni statali o sociali. Vi faccio alcuni esempi:

  • in Ticino un malato di AIDS sarà obbligato a stare a volto scoperto nell’ambito di una manifestazione per i diritti dei malati, magari addirittura ripresa dalla televisione.
  • non sarà più possibile andare in giro in piccoli gruppi travestiti con una maschera antigas per protestare contro l’inquinamento.
  • Non sarà più possibile fare un cartello scrivendo “porci capitalisti” e mettersi una maschera da maiale in testa.
  • Sarà vietato stare in piazza a Lugano con la maschera di Borradori sul volto per opporsi ai tagli antisociali della Lega.
  • Che dire di un operaio metallurgico che si mette una maschera da saldatore e va a uno sciopero?

Capite che tutti i gruppi politici minoritari o i gruppi sociali stigmatizzati saranno gravemente limitati dalla nuova legge ticinese, saranno multati. Questo nonostante il Tribunale Federale abbia sempre permesso l’uso del suolo pubblico senza autorizzazione per piccole attività politiche e nonostante per i costituzionalisti sia chiaro che pretendere uno status anonimo è addirittura un diritto dei membri di gruppi sociali laterali o di persone professionalmente esposte.

Purtroppo la nostra politica, tutta indaffarata a contrastare un problema inesistente (non ci sono burka da noi, turiste a parte) ha deciso di condannare la nostra libertà. Come dice il detto: han buttato via il bambino con l’acqua sporca.

Ma allora perché la costituzione ticinese è stata garantita dal parlamento federale?

Il motivo è legato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Un passaggio dell’art. 9 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione) dice: “La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo può essere oggetto di quelle sole restrizioni che, stabilite per legge, costituiscono misure necessarie in una società democratica […] per la protezione dei diritti e della libertà altrui”. Su quel passaggio la Corte CEDU di Strasburgo ha basato una sentenza su un ricorso di una ragazza mussulmana francese contro una legge francese. Quella legge vietava di coprirsi il volto nei luoghi pubblici, con alcune eccezioni. La legge ticinese si basa proprio su quella legge francese.

Il legislatore francese ha interpretato le parole “protezione dei diritti e della libertà altrui” dell’art. 9 CEDU nel senso della necessità di “rispettare le esigenze minime della vita in società, del vivere insieme. Questo perchè il volto gioca un ruolo importante nell’interazione sociale”. La Corte CEDU ritiene sì che la società democratica si fonda anche sulla pluralità religiosa. Ma ha riconosciuto che “ci siano delle persone che non apprezzano che si sviluppino pratiche che mettano fondamentalmente in questione la possibilità di relazioni interpersonali aperte”. Capisce che queste relazioni aperte sono sentite come un “elemento indispensabile alla vita collettiva in seno alla società”. E lascia quindi spazio agli Stati europei e alle loro Corti costituzionali di decidere se questa interpretazione vale anche nel proprio Stato.

Sulla questione “diritti politici” però la sentenza della Corte CEDU non si esprime. È ovvio il perchè: la ragazza che aveva fatto ricorso pensava al suo burka, non ai diritti politici. E quindi la Corte non poteva che decidere senza parlare dei diritti politici, senza nemmeno pensarci.

La cosa assurda è che nemmeno nei verbali della discussione parlamentare sulla novella costituzionale ticinese troviamo un accenno ai diritti politici. Tutta la discussione verte sulle donne che portano il burka e sulla tutela dell’art. 15 Cost. svizzera (Libertà di credo e di coscienza). Tutti concentrati sul burka, mai nessuno si preoccupa della libertà di dimostrazione o della libertà di espressione politica dei singoli cittadini.

Siccome “è possibile un’interpretazione conforme al diritto federale” il parlamento federale ha dato la garanzia federale. Ha lasciato quindi uno spazio di incertezza: il legislatore ticinese deve riuscire a legiferare conformemente alla Costituzione svizzera. Secondo me non ci è riuscito.

Il senso dei diritti umani è proprio difendere il cittadino da quello stato che si dimentica dei suoi diritti (o li ignora, o proprio li reprime). Quando il Consiglio Federale, l’Assemblea Federale e il Gran Consiglio ticinese si dimenticano della libera espressione politica, allora abbiamo un grave problema democratico. Mi permetto di usare le parole della Corte CEDU e sostengo che in uno Stato democratico abbiamo la necessità di “rispettare le esigenze minime della vita in società, del vivere insieme”. Tra queste, sicuramente poter esprimere liberamente la nostra opinione politica senza dover avere paura di subire ripercussioni statali o sociali!

Insomma: sconvolti dal delirio di un burka che non c’è, la nostra classe politica si è dimenticata che la Svizzera è ancora uno Stato di diritto e che la democrazia è anzitutto permettere all’opposizione politica di esprimersi, talvolta anche coprendosi il volto. Il Ghiro si fa forte della legge francese e della sentenza della Corte costituzionale francese. Mi permetterete di dirgli che noi abitiamo ancora in Svizzera, non in Francia. Ed è passato tanto tempo da quando Napoleone è passato di qua.

Un ricorso al Tribunale Federale contro questa legge cantonale è quindi sacrosanto, oltre che perfettamente legittimo.

Filippo Contarini, giurista (e non avvocato, n.b.)

pubblicato su ticinolive.ch il 5 dicembre 2015