Appunti (giuridici) di viaggio in una realtà etica

Ho abitato a Francoforte dal 1. aprile 2022 al 30 settembre 2022, all’Istituto Max-Planck per la storia e la teoria del diritto. Osservare la differenza fra come si percepiscono le regole al sud e al nord fa impressione. Vi propongo qui quindi alcuni “appunti” di viaggio, che uniscono la mia formazione teorica a un modo scanzonato di raccontare il mondo delle regole. Oggi parlerò di semafori, piedi nudi e telecamere a circuito chiuso. Ma soprattutto parlerò di una differenza culturale.

Non so se quella tedesca sia “un’altra cultura” rispetto alla mia, se sul serio una differenza ci sia. Ma in questo momento mi sento così, iper-sensibile alle piccole cose, che mi fanno chiedere “cosa ci sta dietro”.

Premessa d’osservazione: mi sembra di poter dire che lo spazio pubblico tedesco (come quello svizzero-tedesco) è colonizzato da strutture di finta empatia. Vale qui una gentilezza astratta, espressa su cartelli e pubblicità. È molto facile trovare scritte in giro in cui si salutano le persone in modo astratto (“Benvenuti!”, “Grazie per la vostra visita!”), identicamente non è raro che vengano poste pubbliche scuse (“Ci scusiamo per l’inconveniente”, dice la voce metallica in stazione). Lo spazio pubblico tedesco non è quindi solo uno spazio informativo, ma pretende d’essere anche uno spazio “gentile”. Si tratta di una gentilezza molto particolare, perché è diretta a uno sconosciuto e non chiede un feedback. Non è interessata a sapere se effettivamente l’altra persona si senta ben accolta.

Quando si arriva in Germania (ma lo si vive già in Svizzera tedesca), si nota una particolare attenzione culturale per le regole. In Svizzera seguire le regole aiuta a sentirsi parte del proprio gruppo di riferimento. Per i tedeschi è leggermente diverso: le regole appaiono come un elemento di relazione necessaria e intima fra l’individuo e l’apparato statale. Chi mi conosce sa che non sono necessariamente un caro amico delle regole. Al centro dei miei studi c’è la questione di come le autorità e i cittadini interagiscano attraverso le regole. Ma pure che ruolo abbiano nel diritto stesso. Sono un teorico del diritto.

Oggi propongo tre esempi di situazioni normative che mi sono saltate all’occhio nella mia quotidianità qua in Germania, anticipandoli da una riflessione. Oggi lo Stato fa fatica ad imporre comandi, doveri. Nella crisi di COVID abbiamo visto tutti che la società non voleva obblighi, ma raccomandazioni. è come se la cittadinanza voglia essere trattata in modo “adulto”, come persone responsabili che sono capaci di scegliere da sole a fronte di quanto risulta dalla scienza. Allo Stato rimarrebbe il compito di dare “spintarelle” incentivanti, i cosiddetti nudges. In questo contesto lo stato preferisce dare raccomandazioni di comportamento al posto delle regole. E se invece impone regole, lo fa solo quando è “costretto” a farlo. Ad esempio, perché i numeri del virus sono “troppo alti”, o cose del genere. Questo vale un po’ per tutti gli ambiti normativi: lo Stato cambia oggi il modo in cui comunica le regole alla società. Come ha spiegato Paul Virilio, ha vinto lo slogan della seconda metà del ‘900: “vietato vietare!”. Ciononostante, come ricorda Agamben, anche le raccomandazioni sono una forma di comando.

In Germania questo passaggio dalla regola alla raccomandazione non penso sia stato molto difficile, siccome la regola è già un elemento in cui il cittadino deve (!) rispecchiarsi, in cui deve credere. Vi propongo qui tre esempi vissuti nel mio piccolo contesto di vita.

Il primo esempio è quello dei cartelli attaccati ai semafori all’incrocio di due grosse strade di fianco all’università. Vi si trovano disegnati un adulto con due bambini che attraversano. La scritta dice: “Solo se passi col verde sei un esempio per i bambini”. Si  comunica a cittadine e cittadini che rispettare la regola ha anzitutto un valore educativo per i bambini. O addirittura, considerando che in questo incrocio di bambini proprio non se ne vedono, lo scopo implicito del cartello è spingere chi lo legge a una auto-educazione, a interiorizzare che il rispetto della regola sia in sé un momento educativo tanto sugli altri, quanto su se stessi. In sostanza lo Stato chiede al cittadino di auto-educarsi a rispettare le regole.

Questo cartello, che ovviamente risponde a una forma di democrazia laica, richiama in modo diretto l’insegnamento giuridico luterano di Oldendorp, per cui il diritto aveva una funzione pedagogica. Parte dal principio che ogni fedele è un sacerdote, e quindi nell’atto del rispettare il diritto ogni fedele aiuta gli altri fedeli ad auto-educarsi al rispetto della norma.

Il secondo esempio è questo cartello posto in basso a una porta del palazzo del rettorato dell’università di Francoforte. In italiano il testo suona così: “Per la vostra propria sicurezza, parti del palazzo sono videosorvegliate”.  Rispetto al cartello all’incrocio il problema è leggermente diverso. Qui non ti si vieta di attraversare, ma ti si obbliga a tollerare la videoregistrazione. Nelle zone latine-cattoliche forse avrebbero messo un cartello dove sta scritto “Controllato con videocamere”. Mentre nella realtà protestante viene spiegato come mai il cittadino deve essere convinto che questa regola sia parte di un dispositivo giusto che egli stesso deve approvare. La regola deve insomma penetrare la coscienza. Chiaramente senza che nessuno mi abbia chiesto a) se io mi senta insicuro in questo mondo, in cui è ora dannatamente necessario mettere fotocamere, e b) senza considerare che magari quello pericoloso sono proprio io. Il cartello sembra parlare con me, ma in realtà parla con un “me astratto“. Dirmi che la fotocamera è stata imposta per mio interesse è una forma di retroazione che anticipa un mio sentimento per far sì che i miei dubbi se sia un atto nel mio interesse o meno siano fugati: “ovviamente registrarti è nel tuo interesse! Ci abbiamo pensato anche noi, abbiamo deciso di sì e te lo comunichiamo”. In questo dialogo ipotetico quando ho letto il foglio mi è venuto da pensare “Grazie!”.

Di nuovo, è un approccio protestante, in cui la coscienta è premessa e raggiungibile attraverso la fede, e non invece una struttura di pensiero che permette di questionare la verità. La differenza fra i protestanti e i cattolici è che mentre i cattolici devono subire l’autorità religiosa, che pensa per loro, l’autorità protestante deve conformarsi alla coscienza proprio come i fedeli, che è previsto che pensino. Difatti, i fedeli protestanti hanno un diritto di disobbedienza qualora l’autorità sia tirannica. Risultato: l’autorità invece di dire cosa è giusto, inculca cosa è giusto. Qui la retroazione (in buon francese diremmo “pararsi il culo”) e la foga di spiegare al cittadino che viene controllato perchè è il cittadino stesso che lo vuole – anche se non lo vuole sul serio.

Terzo esempio. Quando entro nell’istituto dove lavoro e studio, la prima cosa che trovo è un tavolino davanti alla reception dove sta appoggiato il regolamento della casa (Hausordnung). Come detto, qua l’amministrazione si interfaccia con il cittadino sottoforma di regole, quindi per loro è molto importante che tu possa sapere quali siano, queste regole. Di nuovo è un approccio protestante: la pubblicazione e la certezza del diritto sono gli strumenti che permettono sia di controllare i fedeli dal fare rivolte, sia di vincolare l’autorità a quanto è scritto nelle regole. Il diritto funziona da corpo intermedio che vincola entrambi. Al mio arrivo all’istituto, il primo documento che mi è stato sottoposto era la certificazione che io avessi letto il regolamento della casa.

Di tutto il papello c’è una regola che mi pare particolarmente affascinante. Dice che “per motivi di sicurezza, e igienici, non si può andare in giro per l’istituto scalzi”. Forse, fino a poco tempo fa avremmo relegato una regola simile al puro decoro: se ti trovi in un istituto di intellettuali ed elitario, non vai a piedi scalzi. La regola avrebbe contribuito a dare un certo tono, un’immagine di sé, una reputazione dell’istituto. Forse nemmeno avrebbe avuto bisogno di spiegazioni. “È vietato andare in giro scalzi” e via. L’indicazione comportamentale avrebbe definitivo i criteri di appartenenza all’élite. Oggi però ognuno è la sua propria riserva indiana, ognuno esprime sè stesso anche fra l’élite, e quindi c’è bisogno di una regola, e – come detto – la regola protestante va spiegata per essere introiettata. Il nuovo strumento per introiettare è la formula passepartout della sicurezza, qui raddoppiata con quella dell’igiene, particolamente efficace peraltro in tempi di pandemia aiuta a capire la rilevanza della richiesta.

Ovviamente, non è certo chiaro per la sicurezza di chi esattamente io non debba andare in giro scalzo. Considerando che non può intendersi la sicurezza degli altri (vanno tutti in giro con le scarpe, essendo vietato andare in giro scalzi) la sicurezza di cui si parla diventa la mia. Mi si spiega che sono obbligato ad andare in giro con le scarpe perchè altrimenti io mi posso far male e io posso sporcarmi. Mi si dirà che questo è un mio retropensiero angosciato, e che in realtà la regola non si impone come introiezione nella coscienza dell’utente dell’istituto. Riguarda la sicurezza e l’igiene d’altri. Proviamo il controtest allora. Poniamo che vado in giro scalzo con un piede insanguinato e poniamo che io sia infetto di qualche malattia. La regola starebbe quindi dicendo che io non devo mettere in pericolo la salute degli altri (la sicurezza) e non devo sporcare la casa (l’igiene). Se il motivo della regola fosse sul serio questo, l’introiezione sarebbe ancora più marcata. Invece di limitarsi a dire il divieto (“vietato andare in giro scalzi”), ma aggiungendo i motivi del divieto, il regolamento mi starebbe ricordando il mio essere in potenza un agente tossico nel mondo – di nuovo una considerazione protestante, secondo cui a causa del peccato originale ognuno di noi è per definizione corrotto. La regola non mi sta solo dicendo cosa devo fare, ma mi ricorda anche che la mia umanità è corrotta – il secondo “uso” della legge in senso luterano.

Questi tre esempi a Francoforte mi hanno fatto improvvisamente aprire gli occhi sulla differenza stravolgente che c’è fra un ambiente cattolico-latino e un ambiente protestante nordico. Non per niente Harlod Bermann sostiene che quello che è accaduto con la riforma luterana è stato una vera e propria rivoluzione.

I tre momenti normativi presentati hanno in comune fra di loro che il soggetto che sottostà alla regola non può sapere se egli stesso sia considerato come soggetto da proteggere oppure come attore pericoloso per gli altri. I piani si confondono, e questa confusione, questa oscillazione, è proprio la base strutturale proprosta da Martin Lutero: il rappresentarci tutti come esseri in se corrotti, ma che possono migliorare seguendo la via della fede. E così non è mai chiaro se non devo attraversare col rosso perché è pericoloso per il mio corpo, o perché se passo col rosso metto in discussione la validità sociale delle regole e quindi divento un pericolo sociale? Per la videocamera: se protegge la mia sicurezza, e quindi non considera me come possibile malfattore, allora perché mi sta riprendendo, di grazia? E poi: se vado a piedi scalzi in casa, sto io attentando alla sicurezza di qualcuno perché potrei ferirmi e avrei malattie trasmissibili, oppure l’idea è rendermi attento che potrei farmi male?

La semantica della sicurezza, così come quella educativa, mischiano sempre la dimensione generale e quella individuale. Mischiano malfattore e vittima, e questo è un approccio luterano al mondo. In questa oscillazione, è iniettabile un retropensiero d’autorità. Leggendo Oldendorp si capisce meglio Kant. Questo filosofo prussiano ha dato voce all’illuminismo e ha puntato sull’idea che ognuno di noi per comportarsi in modo etico debba saper individuare da solo quella regola di comportamento che potrebbe valere come regola generale per tutti quanti. Questa, circa, è la formula dell’imperativo categorico. Fonda un tipo di autonomia umana caricata di responsabilità individuale. Come conseguenza moderna ne deriva che per godere della libertà il cittadino deve saper anche individuare uno spazio etico in cui inserire le proprie azioni. Come costruirsi questo spazio etico, questa coscienza? Mettendogliela a disposizione attraverso studi scientifici (per questo i professori in Germania fanno parte della Obrigkeit, dell’autorità, e sono celebrati come vertice sociale in quanto massimi educatori). Ti voglio libero, ma ti insegno la libertà. Il proprio slancio morale deve comunque corrispondere l’obbedienza per le leggi dello Stato, che devono essere costruite seguendo l’imparativo morale: e questo vale sia per i cittadini, sia per l’autorità stessa.

Nel concreto, come risolvere il conflitto di dover dire agli esseri umani cosa fare, e contemporaneamente aspettarsi da loro che sappiano farlo da soli? La soluzione: fare in modo che i cittadini liberamente scelgano di fare esattamente quello che lo stato consiglia loro come massima etica generale astratta. Da un lato è necessaria una rigorosa educazione dei bambini, dall’altro si esalta il ruolo della disciplina verso i doveri morali. Ecco quindi che tutte le leggi dello Stato sono tradotte nel senso di essere doveri morali e vengono re-introiettare nella coscienza del cittadino. Le motivazioni generali di sicurezza e del bene del fanciullo sono oggi i due “catalizzatori” maggiori che permettono di garantire quella “congiunzione” fra la legge e la morale, per ricondurre la pretesa normativa dell’autorità a uno schema che permetta di autoconvincere il cittadino che quella norma va rispettata in quanto giusta e non opporvisi – ieri forse avremmo avuto la fedeltà alla Madrepatria, e cose del genere. Di nuovo, si tratta di un approccio luterano al mondo, ed infatti mi sembra che al sud questo tipo di ragionamenti siano meno presenti – ma dovrei viverci un po’ (Luhmann spiegava che la “causalità” al sud funziona in modo diverso).

La particolarità dello Stato di sicurezza sta in questa dimensione molto particolare di dare forma alla propria autorità. Oggi la dimensione etica è diventata predominante: lo Stato nordico fa oggi finta di “vergognarsi” dell’imposizione di obblighi, emana quindi raccomandazioni che diventano obblighi qualora la cittadinanza non li segua. E come mai non li seguirebbe? Eccietro: perchè la base della propria umanità è corrotta dall’egoismo, un altro pensiero di fondo luterano. Questo non cambia il fondo delle cose: lo Stato dà comandi, sia esso per l’uso di leggi, sia esso per l’uso di racocmandazioni. Semplicemente, rispetto a ieri comunica alla società che il medium è leggermente cambiato. Prima la norma era quell’elemento che stava in mezzo fra lo Stato gerarchicamente sovrapposto al soggetto. Oggi invece lo Stato si rappresenta come partner, e quindi non deve quindi essere pensata nessuna opposizione dialettica, la norma non deve essere considerata come portatrice di conflitto. La norma prende la forma immediata della sua giustificazione. In questo modo, lo Stato ci comunica che la norma è fatta proprio per noi! E quindi, se è fatta per noi, perché mai bisognerebbe volersi opporre?

Diversamente dalla cultura cattolica, nella cultura protestante è molto presente il diritto di ribellarsi e di ammazzare l’autorità. A bene vedere però, sempre di più questa voglia di ribellione sembra preoccupare le autorità, forse anche a causa della incredibile capacità di fare rete nella società digitale. Molto peggio delle rivolte dei contadini del Cinquecento, oggi la protesta avviene grazie al contagio digitale – la Primavera araba insegna. Il paradosso oscillante del dispositivo luterano, che indubbiamente ha permesso degli ammodernamenti sconvolgenti nell’occidente, si trova confrontato con il fatto che effettivamente la rete è in grado di mettere in dubbio l’autorità in modo efficace. La risposta sono strumenti sempre più raffinati di retroazione sulla coscienza. Questo approccio cambia la narrativa attorno alla norma. Se prima essa era visibilmente accoppiata a un apparato violento, ben consapevole che a ogni norma poteva equivalere un’opposizione, ora quella dimensione polizesca trasla nello sfondo. Si cerca di non avere recalcitranti contro il comando, perché li si rende efficacemente auto-convinti che non ci sia altra cosa giusta da fare che seguire la norma. Chi viene represso in questa repressione di un lato della forma-norma è il soggetto moderno, sempre più in balia dei dispositivi di controllo.

La vecchia norma permetteva una certa oscillazione, si poteva chiedersi se fosse giusta o sbagliata, era quindi possibile opponersi alla norma e non considerarsi in errore. Le teorie dello Stato liberale così come emergono nel Sei-Settecento pensano il diritto proprio come luogo dove bisogna anche risolvere un conflitto che si crea attorno alla validità della norma. Non è più solo una contraddizione tra norme, ma anche una questione di sapere se quelle norme sono valide. L’opposizione al diritto era ormai diventata parte del diritto stesso, perché si era consapevoli che il Potere poteva eccedere nella sua attività normativa (diventando tirannide). La norma stessa, insomma, descriveva l’esistenza – perlomeno in potenza – del soggetto senziente che vi si poteva opporre.

Con lo Stato di sicurezza che emana raccomandazioni invece che norme manca la possibilità di opporsi, perchè effettivamente formalmente nessuno ha imposto qualcosa a cui opporsi. La richiesta di confromazione è legata a una forma di autoeducazione sottoforma di fedeltà alla scienza, che fa le veci dello Stato. La comunicazione al cittadino è che oggi che deve introiettare che la “norma” (la raccomandazione) è stata emanata necessariamente nel suo interesse. Quindi che egli stesso porta dentro di sé la parte positiva della norma. Che quindi come soggetto non ha nessun bisogno di opporsi. Che deve ubbidire come risultato di una operazione di auto-convinzione che è proprio ciò che vuole fare, anche se non ha partecipato alla creazione ed esecuzione della norma.

Sebbene in realtà la norma in sé continui a esistere, il diritto contemporaneo sublima l’approccio luterano, perchè smette di intendersi come posto oscillante: l’autorità, infatti, ormai non può più sbagliare, siccome l’autorità è la scienza in sè, che (questa la toeria) segue per definizione solo gli interessi della verità e quindi della cittadinanza.

Comodo vero?

Osserviao come lo “Stato del bene”, ovvero lo Stato di sicurezza, si appropria della retroazione. La telecamera è necessariamente attivata per il mio bene, e contemporaneamente io sono considerato necessariamente un pericolo. Qualsiasi spazio di opposizione alla norma decade. La società diventa sospettosa sui motivi per cui non sono d’accordo, mi considera un cospirazionista e un asociale. La mancata conformazione non si muove più nello spettro del politico, perché la sicurezza non vale come valore partigiano. Nessun partito infatti può oggi volere una società insicura. Significherebbe augurare la morte agli altri, o comunque dichiarare decaduti valori portanti della società contemporanea. Qui è centrale osservare come lo Stato – usando la semantica della sicurezza per “blindare” le sue norme – parassitizzi una comunicazione che si crea altrove, ovvero nella semantica scientifica. La sicurezza infatti non è figlia di un discorso politico, ma scientifico. Questo cosiddetto “Diritto della paura” (come lo chiama Cass Sunstein) viene posto attraverso i citati elementi di retroazione anzitutto basandosi sugli strumenti messi a disposizione dalle scienze esatte (Galimberti la chiama l’età della tecnica e richiama Heidegger che spiegava: “Tutto funziona e questo è appunto l’inquietante”). L’efficacia di funzionamento di una videocamera o le risultanze di uno studio criminologico, segnano l’allineamento alla società della sicurezza nella sua capacità di convincere la popolazione di poter prevedere il futuro grazie alle risultanze scientifiche passate. L’Intelligenza Artificiale, con la sua capacità straordinaria di imitare il presente partendo dall’esperienza accumulata nel passato e nel presente, mostra quanto sia “dovuta” la fedeltà alla scienza. E poco importa, come ricordava Ulrich Beck, che è proprio la scienza ad aver provocato la possibile devastazione del mondo. La sua richiesta di dotare il mondo di “controesperti” è ormai caduta nel vuoto.

Lo Stato così facendo non comunica più laa sua attività dirigenziale in senso politico, non dice più di anteporre gli interessi collettivi agli interessi individuali, ma dice di allinearsi alle risultanze scientifiche. Introietta il rispetto della norma come unica variabile necessaria nella giusta conduzione dei soggetti, proprio perché così facendo il soggetto meglio garantisce i suoi interessi individuali. Il soggetto si ritrova insomma nella situazione per cui lo Stato lo protegge da un rischio – e quel rischio è il soggetto stesso! Così facendo, il soggetto – sì sottoposto alla norma – si trova impossibilitato a chiedere una ponderazione fra i suoi interessi individuali e quelli collettivi, dato che i miei interessi individuali sono già stati presi in considerazione nel momento in cui provvedimento è stato emanato.

Attraverso queste comunicazioni securitarie educatrici, introiettive, vengono così ricostruiti i famosi doveri imposti dalla normatività luterana e poi giusnaturalista. Essi nei decenni e secoli, sono stati sciolti nella semantica dei diritti, in cui l’umano è premesso come precondizione del diritto. Concepiamo la società giuridica contemporanea come una società di soli diritti, in cui ognuno è la sua propria riserva indiana, in cui ognuno si può rappresentare come estrema minoranza a cui riconoscere un diritto individuale di libertà – e contemporaneamente riconosciamo che la tencica è in grado di dirci, uno a uno, quali sono le nostre preferenze e le nostre necessità, quale è la nostra redditività, quale è il nostro futuro. In questa società i doveri giuridici, che erano usciti dalla porta delle carte dei diritti, rientrano lentamente dalla finestra sottoforma di doveri morali. L’evoluzione che stiamo vivendo non è un abbandono del liberalismo kantiano, ma sua sublimazione: finalmente l’autorità non può che fare il bene, perchè sa dare sicurezz a ognuno di noi. E così, ognuno non può che essere convinto della validità generale della norma, proprio perchè l’autorità sa esattamente cosa è meglio per noi, e lo sa individualmente sebbene lo esprima collettivamente

Come si vede, l’oscillazione fra “individuale” e “collettivo” non è stata cancellata, è stata però cancellata la legittimità della ribellione. Lo Stato ha così un diritto effettivo e morale. Ma a che costi? Al costo di perdere per strada parte del soggetto.

“Oggi non si può non volere”, dice spivak. Introiettando la norma, si forma una soggettività predeterminata. Nasce una nuova interazione costrittiva fra lo Stato e la cittadina senza che però questa interazione sia dichiarata tale. Lo Stato si rappresenta adesso come a sua volta “obbligato” a dover far rispettare la sua autorità benevola. Non si presenta più come sovrano, ma come Salvatore. Per farlo, cerca una connessione direttamente con la Coscienza. La retroazione securitaria l’impone doveri attraverso la norma comunicandoli però nella forma di diritti. In questo modo è come se venisse a mancare metà del mondo, senza che però esso manchi sul serio. Viene a mancare solo nella mente del soggetto, che smette di opporsi. Paradossalmente, questo diritto securitario fa cadere la differenza teorizzata dai giuristi moderni di una differenza ontologica fra diritto e morale, siccome i due elementi si mischiano: tutto può essere chiamato diritto, sebbene tutto sia morale. I doveri sono rimasti nel diritto, ma sono stati caricati di una dimensione morale imprevista, finora esterna al sistema: introiettando la necessaria adesione alla norma, improvvisamente provoca che opporsi giuridicamente alla norma non viola più un dovere, ma un diritto. E quindi l’ooposizione in sè diventa un atto immorale.

Ricorda: devi passare solo col verde. Solo così puoi educare i bambini.