Michel Foucault è passato da Porza?
Ieri sera, lunedì 15 dicembre 2014, ho cercato di combattere l’emanazione di un regolamento sulla videosorveglianza nel comune di Porza. Chiaramente ho perso: il regolamento è stato approvato con 19 favorevoli, 3 contrari e 2 astenuti. Qui sotto il testo dell’intervento.
La videosorveglianza è uno strumento molto sottile del diritto penale.
Tecnicamente serve unicamente a creare una prova per il processo, a far vedere alle forze inquirenti i dettagli dell’autore di un reato, per poterlo così identificare e provarne, a giudizio, la colpevolezza.
Nella mente del legislatore però lo scopo è un altro: serve a trasmettere al cittadino la paura della giustizia penale grazie alla certezza procedurale.
Il cittadino, consapevole che se farà una cosa contraria alla legge sarà preso e punito, dovrebbe quindi essere portato ad astenersi dal compiere l’atto delittuoso.
Uno strumento di prova asettico, neutro e impersonale diventa uno strumento della cosiddetta prevenzione penale. Si tratta però di una prevenzione di tipo violento, punitiva, non persuasiva né propositiva. Purtroppo chiamare questa roba prevenzione fa parte dell’evoluzione della semantica giuspenalistica. Ma se osserviamo la realtà per quello che è, pragmaticamente e pulendo la lingua dall’ideologia, vediamo solo una cosa: la videosorveglianza sembra uno strumento preventivo, e invece è uno strumento repressivo.
La prevenzione è una cosa positiva. La repressione no, e deve essere l’ultima ratio. La prevenzione deve essere un messaggio di convivenza e di rispetto reciproco. Di questi messaggi realmente preventivi, in particolare finalizzati a integrare gli esclusi e a creare reti di crescita per i giovani disorientati, non ne ho visti molti legati al messaggio del Municipio.
Insomma: non si vedono all’orizzonte provvedimenti sociali finalizzati ad avere una società meno criminogena.
Analizziamo i problemi di Porza.
Abbiamo il moltiplicatore al 58% direi quindi che non possiamo proprio affermare di avere crimini legati alla povertà.
Siamo oltretutto uno scomodissimo comune di collina, quindi nemmeno si può pensare che siamo oggetto di incursioni di bande malfamate.
Non c’è più nemmeno un bar che porti adolescenti e giovani adulti molesti e ubriaconi.
Porza ha due soli problemi, dal punto di vista della sicurezza:
– da un lato abbiamo ville abbastanza ricche, e quindi c’è il rischio dei furti. Ma le telecamere, guai noi!, assolutamente non saranno orientate verso la proprietà privata, quindi il discorso non ci tocca.
– dall’altro Porza vive il problema dei ragazzi, figli delle nostre famiglie o delle famiglie dei paesini attorno a noi, che danneggiano i beni collettivi. E da qua il nostro suo bisogno di controllo con la videosorveglianza. Lo dice il messaggio: “la videosorveglianza ha limitato i casi di effrazione, i casi di danneggiamento ai beni e ai luoghi pubblici e i reati contro le persone”.
Pochi casi all’anno, vorrei sottolineare, che sarebbero successi con o senza le telecamere, perché sono espressione di un disamore sociale. Prevenzione reale: zero. Questo pagando decine e decine di migliaia di franchi delle nostre tasse usati per comprare telecamere e garantire i luoghi di registrazione.
Fatemelo dire: Michel Foucault non è passato da Porza. E nemmeno George Orwell.
Come altrove, ma con l’aggravante di essere il terzo comune più benestante del cantone, torniamo grazie alla tecnologia alla repressione penale dell’Ottocento.
Il Panopticon di Bentham, quella prigione dove i carcerati sanno di essere sempre osservati, ma non possono vedere chi li osserva, è tornato fra noi. E pensare che quando i liberali liberavano la Svizzera dall’assolutismo dell’antico regime parlavano di libertà!
Non è un caso che il Tribunale Federale abbia detto che la Videosorveglianza è una lesione grave dei diritti fondamentali.
Dirò una cosa scomoda: preferisco qualche pubblico danneggiamento in più, qualche effrazione di qualche giovane scalmanato, che essere registrato quando passo in un luogo pubblico. E non lo faccio perché ho qualcosa da nascondere, anzi! È un problema di principi.
Pago le tasse a Porza come tutti voi e preferisco pagarle per aggiustare una panchina, e magari, che sogno, finanziare un operatore sociale, biblioteche mobili, flash-mob culturali, feste pubbliche notturne, giochi collettivi, che comprare delle telecamere. Che oltretutto non fanno prevenzione.
L’ordine pubblico e la sicurezza si fa aggregando, non disgregando nè trasmettendo la cultura del sospetto.
Oggi possiamo decidere di rinviare al Municipio il messaggio sulla videosorveglianza.
Le telecamere sono state messe 8 anni fa, e ora è il momento di ratificare politicamente quella decisione. Ebbene, ora abbiamo, come consiglio comunale di uno Stato liberale quale è la Svizzera, di rendere Porza un comune de-videosorvegliatizzato.
Sarebbe una riconquista di civiltà.
F. C. 15.12.2014