Naturalizzazioni e fumo negli occhi
Il testo di martedì di Paolo Pamini, persona che apprezzo, mi costringe a rispondere a sue osservazioni sull’iniziativa popolare «per naturalizzazioni democratiche».
Purtroppo Pamini confonde le decisioni politiche con quelle giuridiche, dando loro la stessa valenza e mettendo quindi in discussione lo Stato di diritto. Il popolo in Svizzera compie decisioni politiche approvando le leggi, che sono norme generali astratte (ovvero applicabili su tutti per innumerevoli casi simili fra loro). Le autorità, invece, applicando le leggi prendono decisioni giuridiche, che sono norme individuali concrete (ovvero applicabili solo ad una persona in un solo caso). Si fa questo in gran parte per tre motivi: evitare che il popolo debba esprimersi per ogni decisione dello Stato, evitare che ci si faccia guidare nel caso concreto da giudizi di valore non basati sui fatti, ma sulle emozioni e soprattutto permettere che si possa ricorrere di fronte ad evidenti ingiustizie (ovvero per esempio decisioni palesemente ineguali).
Detto ciò è importante spiegare allora cosa vuol dire ottenere la cittadinanza in Svizzera. La legge, ovvero il popolo, decide quali siano le premesse indispensabili per una persona per ottenere la cittadinanza. Fra le altre, per i figli di svizzeri bisogna provare la discendenza, per gli stranieri bisogna provare di essersi integrati dopo aver vissuto in Svizzera un tot di anni.
Le autorità, verificata l’esistenza delle premesse, danno allora il benestare all’ottenimento della cittadinanza tramite una decisione motivata e ricorribile se palesemente infondata e quindi ledente la legge.
L’iniziativa «per naturalizzazioni democratiche» vuole dare invece al popolo la possibilità di prendere decisioni individuali concrete senza una motivazione esplicita. Queste potrebbero però non fondarsi su criteri individuali, rivelandosi quindi collettive, palesemente infondate e malgrado ciò inappellabili.
Pamini mette allora fumo negli occhi
dei lettori. Affermando che per dare i diritti politici bisogna prendere decisioni politiche, ripeto, mette in discussione i fondamenti stessi del nostro ordinamento giuridico, permette che il popolo contraddica i suoi prinicipi e di riflesso mette in dubbio la nostra democrazia, che invece proprio grazie allo Stato di diritto è garantita.
Nessuno dice che sia vietato criticare il nostro ordinamento, anzi è giusto e costruttivo ed è elemento fondante della nostro Stato, ma a fronte di quanto detto ritengo l’impressione data da Pamini sull’argomento in discussione altamente fuorviante.
Filippo Contarini, Breganzona, studente di giurisprudenza all’ Università di Lucerna
Corriere del Ticino, 30 maggio 2008