Polanski, mediatizzazione e alcuni passi indietro

L’affaire Polanski ha toccato la coscienza anche di chi non era contrario all’invito da parte del Festival di Locarno. È difficile rimanere insensibili quando i fatti conosciuti sono gravi, quando l’uomo ha compiuto errori che difficilmente si riescono a lavare dalla memoria collettiva.

Eppure l’analisi deve essere attenta, e soprattutto contestualizzata.

Abbiamo notato che nei tempi più recenti c’è stato da noi un aumento notevolissimo della sensibilità sociale sulla sessualità con minori. L’approccio tendenzialmente permissivo (o tabuizzante?) che si aveva nei confronti dell’abuso sessuale sul fanciullo è ora cambiato. In Svizzera il popolo lo ha condannato attraverso varie votazioni. Ha deciso di indurire le norme su questo argomento snaturando il nostro sistema penale. La proporzionalità e la razionalità giuridica sono andate in secondo piano di fronte alla richiesta di stigmatizzazione sociale per questi reati. Se il tema è giusto (la difesa di una maturazione sessuale del bambino senza che subisca abusi animaleschi di chi gli sta attorno) la risposta è stata enorme. C’è stata una mediatizzazione drammatica e concretamente inefficace. Il penale è stato ritenuto erroneamente la soluzione ai problemi, mentre in realtà è solo un comodo palliativo. Una mediatizzazione che soprattutto ha creato caos, la recente vicenda Polanski ne è un esempio.

Riflettiamo brevemente su alcuni concetti-cardine del diritto penale.

Anzitutto distinguiamo le pretese punitive. Di sicuro c’è il desiderio di rivalsa della vittima, una sorta di vendetta atavica. C’è quindi la pretesa punitiva dello Stato, questo perché deve far rispettare la legge facendo vedere la sua autorità e perché deve far vedere a potenziali nuovi molestatori quale sarà il possibile incubo giudiziario che passeranno. E deve, inoltre, redimere il reo. C’è infine, per molti, la pretesa morale. Quest’ultima significa che ci sarebbero dei principi assoluti che non possono essere infranti. Ad esempio, recentemente l’integrità sessuale del bambino ha cominciato a diventare uno di questi principi.

Continuiamo, con il problema della prescrizione. Nel nostro diritto (ma non negli USA) vige il principio giuridico che dopo un tot di anni un giudice non può più giudicare un processo. Ci sono almeno due motivi: l’impossibilità a risalire con certezza alle prove dopo tanto tempo e la consapevolezza che con il tempo le persone e la società cambiano, e non sono più le stesse dei fatti avvenuti anni addietro. La pretesa punitiva così pian piano scema.

C’è infine il problema del rapporto fra sistemi giuridici fra Stati. Nel nostro sistema internazionale ogni Stato ha la sua giustizia, in particolare quella penale, e ricordiamoci bene che proprio il Ticino ha chiesto a più riprese a gran voce il mantenimento della sua indipendenza giuridica. Indipendenza giuridica significa pure che i reati commessi e giudicati altrove sono questione di altrove. Far comunicare i vari sistemi giuridici dei vari Stati significa allora affidarsi a delle procedure condivise, a cui gli Stati devono attenersi proprio per rispettare la sovranità giuridica di ognuno.

Entriamo ora nel complesso caso Polanski. Non facciamone una relazione universitaria, diciamo rapidamente alcuni fatti centrali.

Polanski ha abusato di una bambina, America inizio anni ’70, limiti sociali saltati, madre sciagurata, lui era già un genio del cinema, il sistema giudiziario americano sotto pressione. Notizia di stupro a bomba, mediatizzazione già allora, cercano di gestire la situazione con un “patteggiamento” (in italiano non dovremmo usare questa parola, che ha un altro significato giuridico), il procuratore promette una cosa, il giudice ci sta e non ci sta, non è chiaro cosa succede. Fatto sta che Polanski, dopo una breve pena concordata, scappa convinto che lo stiano fregando. La Francia accoglieva chiunque in quel periodo, accoglie anche lui. Lo accogliamo anche noi, a dire la verità lo accolgono praticamente tutti. La vita dell’uomo fa pietà.

Passano gli anni.

Il rapporto fra i due: lui fa un documentario e si scusa pubblicamente. Lei dice e scrive pubblicamente che non è più arrabbiata con lui e non vuole che si parli più di quei fatti. Point.

La pretesa punitiva americana: è detto, negli USA non c’è la prescrizione. Però non sembra che si accaniscano in molti, di sicuro i suoi film li vendono senza censurarli, fa comodo anche alle entrate fiscali. Un giorno, 40 anni dopo i fatti, un procuratore probabilmente in fase elettorale (e comunque putacaso proprio durante la crisi UBS) si sveglia e chiede alla Svizzera di arrestare Polanski siccome fuggitivo. Tutti sanno, di sicuro anche lui, che da anni ha casa a Gstaad. Piccolo problema: il procuratore ha fatto i conti senza l’oste. E così le autorità americane non hanno, fra l’altro, voluto inviare un verbale d’interrogatorio determinante per le autorità svizzere per capire come sia veramente andata la questione giudiziaria 40 anni fa. In fin dei conti allo Stato americano (bigotto per eccellenza, non dimentichiamolo) l’estradizione non interessa più di quel tanto. L’interesse a condannarlo non c’è più. Point.

La pretesa punitiva svizzera: la Svizzera ha fatto i compiti. Ha sempre considerato Polanski per quello che è, ovvero un genio del cinema che ha scontato una pena decisa dalla giustizia americana. Nel contempo ha sempre atteso che gli USA chiedessero il suo arresto. Quando hanno chiesto il suo arresto, lo hanno arrestato. Poi è arrivato il momento della decisione sull’estradizione, spettava al Ufficio federale di giustizia, sostenuto eccezionalmente dalla consigliera federale. Siamo uno Stato di diritto, ci sono una Legge sull’assistenza giudiziaria e un trattato sull’estradizione. L’Ufficio federale non giudica sulla colpevolezza, ma decide se ci sono le condizioni per l’estradizione. Si decide sui documenti e si motiva la decisione, se ci son troppi dubbi l’estradizione non ha luogo. Gli americani non hanno voluto eliminare tutti i dubbi. Qui da noi, quindi, Polanski è un uomo libero. Point.

E infine c’è la pretesa morale: quella è una pretesa assoluta, difficile da elaborare, individuale e sociale allo stesso tempo, quella che ci blocca di fronte ai conflitti “grandi”. È difficile gestirla, perché parliamo di fatti accaduti in altre epoche dove i principi e i contesti non erano quelli di oggi. Dove sul piatto arriva pure con prepotenza il conflitto immanente tra morale e arte, e bloccare Polanski per la sua storia passata significa censurare il genio artistico che è e rimane, un esempio per i cineasti d’ogniddove.

Risposte certe su tutto questo affaire non ce ne sono. Io non sono fra quelli che dicono “ah l’arte e l’espressione artistica devono stare sopra ogni cosa!”. Ma sono impressionato dalle certezze di chi sostiene che Polanski è un lurido e la sua presenza vada contrastata con forza.

Assolutizzare la pretesa punitiva al di sopra di ogni cosa è sempre pericoloso. Il rischio è perdere la percezione della realtà sociale e del ruolo del crimine nella società. Il rischio è, ripeto, di perdere la proporzione. Il rischio è mischiare e fare di tutto un gran potpourri. Di farsi garanti di una volontà della vittima che non c’è, di una pretesa punitiva statale che non c’è, di un rimuginare nella memoria di un uomo di cui non si sente particolarmente il bisogno. Chiedere l’umiliazione di Polanski, probabilmente il sentimento immediato più naturale che si può verificare in chi ascolta di come lui ha umiliato la ragazzina 40 anni fa, è comprensibile. Non lo condivido, ma sinceramente lo capisco. L’uomo è però già stato umiliato, quello non dimentichiamocelo.

A sentire alcuni sembra che sia scoccata l’ora in Svizzera di tornare ad un diritto ad eternum come lo conoscevamo nel medioevo o con la damnatio memoriae romana per cui di un reo andavano cancellate tutte le tracce. Nel frattempo da queste parti sono passati i pensatori illuministi che ci hanno insegnato che il diritto non può essere strumento à la carte per chi ha bisogno di fare propaganda morale.

Questo non possiamo dimenticarlo, e il nostro diritto è un buon diritto, attenzione a chi vuole abusarne!

Filippo Contarini, giurista

Pubblicato su ticinolibero.ch il 14 agosto 2014