Reddito di base incondizionato, una realtà in Svizzera?
Alcuni lo vedono come una semplice proposta steineriana, un “impulso culturale”, ma potrebbe ottenere molto di più e spiazzare tante certezze che ci accompagnano da un secolo e mezzo. Vuole rimodellare le condizioni economiche della nostra vita in società. Insomma, in Svizzera è ormai una proposta politica giunta al banco di prova: tra due anni la popolazione voterà e potrebbe essere giunto il momento di testare concretamente il reddito di base incondizionato.
L’idea non è nuova, né è un unicum elvetico. Il reddito incondizionato fa parte di una discussione che affonda le sue radici nel primo illuminismo ed è stato studiato e analizzato da economisti di tutto il mondo. È recentemente stato usato come cavallo di battaglia anche da teorici dialettici, il filosofo francese André Gorz ne ha discusso nel suo libro Misères du present, richesse du possible (Galilée 1997). In Svizzera le firme sono state invece raccolte da un comitato apartitico e aconfessionale, composto perlopiù da artisti, professori e attivisti politici.
L’idea è tanto semplice nella sua descrizione quanto particolarmente complessa nella comprensione delle sue conseguenze. Concretamente si propone di garantire ad ogni cittadino dello Stato svizzero un assegno del valore di 2’500 franchi indistintamente dalle sue condizioni sociali, lavorative o sanitarie. Glieli si danno e basta. Non gli si chiede nulla in contropartita, non è obbligato a svolgere un’attività particolare per lo Stato. Il fatto di esistere e di avere la cittadinanza è sufficiente per ricevere l’assegno.
La procedura democratica e giuridica vuole che per ottenere questo diritto sia anzitutto necessario creare un nuovo articolo costituzionale nella sezione “Alloggio, lavoro, sicurezza sociale e sanità” che risuona così:
Art. 110a (nuovo) Reddito di base incondizionato
1 La Confederazione provvede all’istituzione di un reddito di base incondizionato.
2 Il reddito di base deve consentire a tutta la popolazione di condurre un’esistenza dignitosa e di partecipare alla vita pubblica.
3 La legge disciplina in particolare il finanziamento e l’importo del reddito di base.
Se la popolazione dovesse accogliere il progetto, sarà poi compito del governo e delle camere trasformare la proposta in legge, con tutte le modifiche necessarie del caso. In particolare bisognerebbe mettere mano in profondità al sistema fiscale e di assicurazioni sociali di tutta la Svizzera.
Attenzione: non si tratta di assistenzialismo. La Svizzera ha già nella sua costituzione un sistema chiamato “reddito minimo garantito” o “assistenza sociale” che viene dato al cittadino quando si ritrova espulso dal sistema produttivo. Si tratta di assegni garantiti come ultima ratio dallo Stato quando la persona non dispone più di un reddito e non ha né assicurazioni sociali né una famiglia disponibili ad aiutarla. Lo Stato in questo caso interviene in maniera proattiva e, oltre a dare un sostegno finanziario, cerca d’eliminare le cause del disagio sociale in cui si trova l’assistito. Per legge il reddito minimo garantito, ad esempio nel canton Ticino, viene stabilito in base “ai bisogni e alle attitudini della persona, in modo da prevenirne lo scadimento morale e materiale o da consentirne un conveniente inserimento nella società”. Monetizzando, significa che l’indigente viene sostenuto con un assegno di ca. 1’000 franchi al mese e gli vengono garantite delle prestazioni per aiutarlo (e spingerlo) nel reinserimento.
Il reddito di base incondizionato è tutt’altro.
Con il reddito di base incondizionato lo Stato non svolge il ruolo di “stampella” nel caso in cui un suo cittadino finisca nell’indigenza. Lo Stato diventa piuttosto pienamente garante della libertà del cittadino, gli dà la possibilità di partecipare alla vita pubblica scegliendo volontariamente se vivere solamente del reddito di base oppure se guadagnare altri soldi attraverso un lavoro retribuito. Parliamo quindi di un reddito di cittadinanza, un’idea che vuole sovvertire il principio per cui alla base della sopravvivenza c’è anzitutto il reddito da lavoro.
La lettura di questa proposta può essere più o meno schierata. Dal post-marxismo all’antroposofia, passando attraverso il socialismo liberale, di sicuro si può dire che il reddito di base incondizionato è la ricerca di un’innovazione sociale che rimescolerebbe profondamente le carte in tavola del discorso pubblico.
Con uno strumento semplice si cambia infatti la concezione dei nostri rapporti sociali materiali. Viene dato un altro significato al lavoro (o lo si attualizza), chissà viene pure riconsiderata l’idea di creazione di valore e di ricchezza. Bisogna insomma concepire a nuovo il nostro sistema economico, il ruolo del welfare, il significato delle attività sociali non retribuite (come, ad esempio il volontariato o le attività casalinghe), il posto degli emarginati sociali e dei lavoratori lasciati alla periferia dei centri produttivi.
Le domande che ci possiamo porre sono innumerevoli. Ad esempio: è proprio vero che verrebbe proposta una nuova società che non abbia il lavoro alla base di tutto? Sta in piedi l’obiezione che “la ricchezza va prima creata per essere distribuita”? Che fine faranno le assicurazioni sociali? Come si finanzia questa proposta? Si creeranno nuovi rapporti di dipendenza? I sindacati sarebbero indeboliti da questa innovazione? È vero che basta distribuire soldi “a pioggia” per cambiare i rapporti sociali? Quale ripercussioni soffrirebbero gli abitanti senza diritti di cittadinanza (gli stranieri in particolare)? Il reddito di base incondizionato è potenzialmente inflattivo? È giusto distribuire il reddito di base incondizionato anche ai ricchi? Le scuole e gli ospedali continueranno ad essere gratuiti?
Per me queste domande sono aperte, nel senso che per lanciare un dibattito serio è necessaria anzitutto una lettura seria del reale. Gorz ha provato a proporla attraverso il suo materialismo dialettico, proponendo una virulenta critica all’idea che con il post-fordismo i lavoratori siano finalmente riusciti ad emanciparsi dal capitale. Partendo dall’analisi del conflitto capitale-lavoro propone quindi nuove alternative. Sappiamo che ci sono molte altre letture del sociale disponibili e cercherò quindi di dedicarmi anche alla ricerca di queste “altre campane”. Riforme di questa portata, che cambiano certezze che la Svizzera conosce da un secolo (l’assicurazione sulla vecchiaia, ad esempio) vanno analizzate da angolature dogmatiche anche alternative. E proprio da qua passa la sfida della ricerca del consenso per questa proposta clamorosa.
F.C.
mi piace molto come è spiegato