Ricorreremo contro le leggi sulla dissimulazione del volto
Ebbene sì, ha ragione il leghista Aron D’Errico (il Mattino della Domenica, 13 marzo 2016): abbiamo intenzione di fare ricorso contro la nuova Legge sull’ordine pubblico e la nuova Legge contro la dissimulazione del volto, da poco approvate dal parlamento ticinese.
La ragione di D’Errico finisce là: per il resto siamo di fronte a un esempio perfetto di abuso del prontuario del buon leghista, in particolare nella quantità di inesattezze.
Con grande veemenza D’Errico ci accusa di non rispettare e di non conoscere la volontà del popolo, il quale aveva sostenuto massicciamente l’iniziativa con il 65,4% dei voti. La Svizzera è uno stato federale, ciò significa che ogni cantone deve sottostare e rispettare la Costituzione federale, democraticamente voluta dal popolo Svizzero (e accettata dal 72% dei ticinesi nel 1999). Sulle leggi cantonali il Tribunale federale a Losanna funge da tribunale costituzionale. Essendo cittadini ticinesi, siamo dunque pienamente legittimati a ricorrere contro le due leggi, così come chiunque altro in altre circostanze.
Non bisogna essere necessariamente giuristi per essere a conoscenza della sentenza della Corte europei dei diritti dell’uomo che tutela la legge francese sulla dissimulazione del volto. Ma sarebbe sicuramente ideale prima un’attenta lettura per capirne il contenuto. Si tratta di una sentenza su un ricorso inoltrato da una ragazza musulmana contro l’approvazione della Corte costituzionale francese di quella legge, fortemente voluta dal governo Sarkozy. L’analisi della legge è fatta dalla CEDU dal punto di vista della libertà religiosa, parla solo di burka e conclude affermando che le Corti costituzionali degli Stati europei sono generalmente libere di permettere uno spazio di manovra sulla dissimulazione del volto in ambito religioso.
Ciò significa anzitutto che la nostra Costituzione federale svizzera può garantire più libertà di quella francese, e può dunque limitare il legislatore ticinese. Ma, cosa ancor più interessante, è che a noi comunque non interessa la libertà religiosa. Crediamo invece che le leggi ticinesi, che impongono il divieto generalizzato di coprirsi il volto in pubblico, limitino gravemente i diritti di libera espressione delle idee politiche dei cittadini. Per questo, riteniamo che la sentenza CEDU non possa essere applicata al caso ticinese.
Giorgio Ghiringhelli prima e il Parlamento cantonale poi, non si sono minimamente resi conto dell’importanza fondamentale della copertura del volto per questioni politiche. La libera espressione delle idee politiche è il cuore della democrazia, e una sua limitazione potrebbe avere conseguenze pesanti per i cittadini. Prendiamo l’esempio di una persona malata di AIDS che non l’ha confidato ad amici e colleghi. Nel caso di una manifestazione per i diritti dei malati, questa persona dovrà, sotto minaccia di multa (fino a 10’000 franchi!), stare a volto coperto esponendosi dunque pubblicamente al suo problema. Oppure pensiamo a dei bambini che sfilano per le strade di Balerna con la mascherina contro l’inquinamento (fatto successo realmente poche settimane fa). Tutti multabili, soprattutto le maestre che li hanno istigati (10’000 franchi di multa a cranio). E che dire dei rifugiati, che se vengono scoperti in patria grazie alla circolazione delle immagini di una manifestazione via Facebook rischiano pesantissime ripercussioni famigliari?
Volete veramente ora dirci che i leghisti possono imporre a tutti come e quando i cittadini devono manifestare le proprie idee? Volete dirci che l’espressione delle idee politiche, in questo cantone, ormai non è più uno dei pilastri fondamentali della nostra convivenza civile? Siam tornati nel medioevo?
È palese che in Ticino con queste leggi stiamo andando verso la violazione dei diritti della personalità e della costituzione. Tutto ciò non ha a che fare con la libertà religiosa, e dunque ci batteremo contro le due leggi ticinesi con tutti i mezzi a nostra disposizione.
Martino Colombo, Filippo Contarini
Pubblicato sul CdT il 12 aprile 2016 con il titolo “La legge anti-burqa viola la Costituzione”