Segreto bancario e democrazia a rischio

Lo scorso 4 aprile il Consiglio federale ha emanato un de­creto segreto. Grazie ad esso le banche svizzere possono ora inviare alle autorità americane i dati di migliaia di loro di­pendenti. Mister Da­ti è intervenuto negli scorsi giorni.

Vuole vedere questo documento segreto, visto che non sono stati trasmessi negli USA «soltanto e-mail di responsabili, ma anche i nomi di gente che con gli affari americani aveva solo marginalmente a che fare, o addirittura nulla» (vedi CdT del 23 agosto). Intanto il procuratore fe­derale ha archiviato una denuncia di un lavoratore contro la sua banca proprio perché con il decreto segreto ora essa non farebbe nulla di penalmente rilevante. Al­cuni professori di diritto penale si sono di­chiarati allibiti.

Non è la prima volta che rimaniamo (per­lomeno noi del grande pubblico) colti di sorpresa da azioni «Nacht und Nebel» del­le autorità federali. Era già successo ad esempio con la prima trasmissione di da­ti bancari da parte della FINMA, che si basò sul diritto d’urgenza per, si disse, scongiurare una catastrofe economica.

Dal 2008 ad oggi sono state molte le deci­sioni perlomeno discutibili in materia di politica bancaria internazionale prese sen­za una sufficiente legittimità democrati­ca. Come al solito ci muoviamo in ambi­ti giuridicamente «border line», ma am­piamente prevedibili e mai affrontati dal­le élites.

La democrazia svizzera è in grave perico­lo perché il popolo non ha assolutamen­te voce in capitolo sulla decisione della strategia in questo scontro fiscale interna­zionale.

La cosa più triste è vedere che la parte po­litica che ha creato questo dramma, la stes­sa che ha dominato negli ultimi decenni (ovvero le maggioranze liberali-conserva­trici-leghiste), è quella che ora brancola nel buio, che dà del «traditore della nazio­ne» agli altri (come ha fatto per esempio il presidente del PLR Müller l’altra sera al­la trasmissione Arena) e che sta prenden­do decisioni pericolose.La piccola Svizze­ra, intraprendente ma furbetta, ha deci­so tanto tempo fa di giocare duro con le altre nazioni del mondo: ha accettato e aiutato migliaia e migliaia di evasori fi­scali a spostare parte del loro patrimonio.

L’attitudine elvetica alla riservatezza e al­la capacità di gestione si è mischiata per decenni all’ingordigia. Sono stati maneg­giati per decenni soldi di dubbia prove­nienza, usando purtroppo la carta del se­greto bancario. Le altre nazioni erano d’accordo (proba­bilmente perché anche i loro gerarchi spo­stavano da noi i loro soldi…), ma ora c’è una crisi di portata immensa e devono re­golare i conti.

Nulla di inaspettato, signore e signori, voi cosa fareste se foste al governo in Italia o in Germania, sapendo che in Svizzera ci sono i soldi sfuggiti ai vostri esattori fisca­li?

Noi dovevamo essere coscienti di ciò, do­vevamo essere abili, agili, scaltri, previ­denti. Avremmo dovuto avere un piano B. I liberal-leghisti dovevano sapere che pri­ma o poi le altre nazioni avrebbero chie­sto i loro soldi, siamo in ritardo di decen­ni!

Di fronte a questa tempesta in mare aper­to dobbiamo decidere quale zavorra but­tare giù dalla nave. La scelta ruota attor­no al segreto bancario come lo conoscia­mo oggi e partendo da questo dobbiamo decidere se buttare a mare il nostro Stato di diritto con la nostra democrazia oppu­re rinunciare ad alcuni privilegi sacrifica­bili. Soprattutto, nella battaglia politica che ci attende nei prossimi mesi dobbia­mo capire con chi vogliamo stare. Da un lato ci sono i nostri lavoratori che danno il massimo per mantenere un lavoro sicu­ro.

Dall’altro ci sono i grandi patrimoni, con­trollati e goduti da pochissime persone che ne hanno approfittato per troppo tempo. Sappiamo tutti quanti che, dei due, non sono mai stati i lavoratori ad essere al cen­tro dell’attenzione. Una realtà purtroppo offuscata dal mito del buon banchiere, che ha permesso di creare una simbologia im­penetrabile sul mondo bancario. Affida­bilità, riservatezza, accondiscendenza e un po’ di buone parole nei service-clubs che contano, questa era la musica. Ma era mondo bancario sopravalutato nella sua importanza sociale ed economica (si ve­dano qui i resoconti ad esempio dei vari Breiding, Schwarz, Ratti, Strahm), che so­lo grazie al mito ha permesso a pochi di ricavarne moltissimo.

Ora abbiamo una zavorra da gettare a mare, dobbiamo vedere quindi cosa ci sia veramente dietro la simbologia del segre­to bancario. Non scopriamo niente di nuo­vo, in realtà, sappiamo già tutti che colo­ro che ne hanno goduto di più sono stati i soliti noti, in particolare quel 10% della popolazione svizzera che possiede tre vol­te quello che possiede il restante 90% del­la gente tutta insieme.
Quei benestanti che pagano sempre me­no imposte. Quella piccola parte della po­polazione che nei decenni si è arricchita, statistiche alla mano, centinaia di volte più degli altri. Insomma tutti coloro che hanno un interesse enorme a non far sa­pere al fisco quanto hanno depositato nei caveau delle nostre banche.

Ora dobbiamo essere concreti: di fronte al­le legittime richieste degli altri Paesi, di fronte alla morte del segreto bancario a causa delle inutili e miopi politiche libe­ral-leghiste, non possiamo lasciare cade­re nel vuoto né migliaia di lavoratori, né il nostro Stato di diritto.

L’unica alternativa che rimane è far con­tribuire al salvataggio di tanti posti di la­voro chi negli ultimi 30 anni ha continua­to ad approfittarne. Ci sono élites che han fatto il bello e cattivo tempo. Il loro buon banchiere era diventato il simbolo della perfezione. Benissimo, ora la situazione è cambiata. Il parlamento deve urgente­mente elaborare un patto di paese in cui coloro che si sono arricchiti negli anni pos­sano sostenere tutti gli altri.

Servono misure draconiane, fiscali e strut­turali, anche la proprietà di pochi ricchis­simi deve poter finalmente essere messa in dubbio. Misure che possono essere legitti­mate democraticamente e conformi allo Stato di diritto.

Siamo in mare aperto e fuori c’è la tempe­sta. Meglio sacrificare i privilegi che la no­stra democrazia.

Filippo Contarini, giurista

Pubblicato sul Corriere del Ticino il 12.9.2012