Partiti giovani e non partiti di giovani

Ho sempre esplicitato la mia posizione sulle sezioni giovanili dei partiti in modo netto: penso che nella nostra politica ci vogliano partiti con i giovani, non partiti di giovani. Io ho 25 anni e si potrebbe pensare che sostenendo questa posizione io vada contro gli interessi miei e dei miei coetanei. Vorrei qui spiegare perché non penso che sia così.

Nel mio percorso di avvicinamento alla politica ho capito due cose: innanzitutto il partito mi sembra essere primariamente una struttura di potere. Il gruppo che gestisce questa struttura può decidere quale sia la posizione comune degli aderenti, chi debba essere nominato nei vari gremii decisionali esterni al partito, che priorità si debba dare a quale incarto. Come qualsiasi struttura di potere il partito è contraddistinto al suo interno da dure battaglie fatte per raggiungere visibilità e quindi il vertice. Questo perché senza visibilità non si può far conoscere ai militanti e agli esterni quali idee si propongono, quindi non si può arrivare ad avere il consenso e non si può quindi far passare le proprie idee politiche.

In secondo luogo avvicinandomi alla politica mi sembra di aver notato che la politica vera (quella delle discussioni profonde e articolate, quella dove si mette la propria coscienza sul tavolo del dibattito perché le idee dell’avversario in fondo non sono così strampalate) si faccia di più in piccoli gruppi attorno a una buona bottiglia di vino piuttosto che nelle sedi istituzionali. Le assemblee, i comitati, il parlamento con le sue commissioni, decidono su problemi concreti, su posizioni che si riassumono in un sì o in un no. Sappiamo tutti che avere un’idea totalmente bianca o totalmente nera su una questione è difficilissimo, che ognuno di noi ha opinioni con sfumature variopinte. Il partito, come peraltro il parlamento, è un coacervo di sensibilità diverse e sarebbe impraticabile ad ogni riunione discutere delle fondamenta. Quello è quindi un lavoro che va fatto dietro le quinte.

Ora, detto questo, penso si possa capire perché non mi piace l’idea delle sezioni giovanili. Ciò che infatti può succedere è in primis che le stesse dinamiche partitiche di potere si inseriscano nel discorso politico del gruppo dei giovani. Inoltre, cosa secondo me ben più grave, il giovane attivo nella sezione giovanile perde la possibilità di capire quali effettivamente siano le logiche del partito “madre” e a quali discussioni si debba partecipare per discutere dei fondamentali della propria linea politica.

Propongo quindi alla politica tutta che si smetta di segregare i giovani in gruppi separati, come fossero dei mini partiti (la cui funzione alla fine sembra solo quella di dare visibilità a quel presidente o a quel segretario del gruppo giovanile). Bisogna piuttosto cominciare a creare un contatto intergenerazionale. È necessario che i militanti più anziani ed esperti seguano i giovani e gli insegnino ciò che sanno, una sorta di tutorato. E viceversa che i giovani diano vitalità alle discussioni, inseriscano obiezioni nuove, facciano vedere cosa è la cultura giovanile (soprattutto oggi, così diversa da quella di 40 anni fa!). Così facendo, dando spazio vero ai giovani, lasciandoli parlare nei gremii che contano, i partiti potranno veramente aprire la politica alle nuove leve.

Questo discorso non vale chiaramente solo per la politica. Lo scambio culturale fra generazioni diverse è fondamentale. Oggi, come dice un bravo comico francese, grazie alla comunicazione non ci parliamo più. È triste vedere anziani disgregati dal tessuto sociale e giovani che se ne fregano dell’esperienza di chi le emozioni importanti della vita le ha già vissute. Chissà che i partiti, aprendosi a quest’idea, non facciano da buon esempio per tante altre realtà sociali.

 

Filippo Contarini, giurista, candidato no. 23 al GC per il PS