Paternalismo libertario o moralismo bigotto. C’è ancora spazio per il libero arbitrio?
Avete in mente che su internet vi chiedono ogni 3 per 2 di cliccare pulsanti con scritto in grande ACCETTO, mentre se non volete accettare bisogna andare a cercare da qualche parte una scritta in piccolo, che nemmeno sembra un pulsante? Avete in mente il disegnino di una mosca nei pissoir, così i maschietti centrano meglio l’obiettivo e evitano di far pipì dappertutto nel cesso pubblico?
Gli economisti comportamentali chiamano questi dispositivi con il concetto di “nudge”. In italiano lo conosciamo meglio sotto il concetto di “spinta gentile”. L’idea di fondo è che le persone seguano più facilmente determinati comportamenti voluti dallo Stato o dalle imprese se gli costruisci attorno un contesto favorevole a quell’atteggiamento.
Le forme possibili per questo tipo di “spinte gentili” sono tante (non solo il “nudging”) e migliaia sono gli economisti che le studiano e ne pensano una più del diavolo per trovare quelle più efficaci. Per la politica e la teoria della legislazione particolarmente importante è il cosiddetto “default”. È stato ben spiegato nel libro “Choosing not to choose” di Cass Sunstein alcuni anni fa. Si tratta di uno strumento usato quando l’utente deve prendere decisioni o sta comunque compiendo un’attività automatica, prevedibile e programmabile.
Un esempio banale: stampare sulla stampante aziendale. Gli economisti comportamentali (che ormai sono spesso laureati in psicologia) hanno studiato l’efficacia di varie misure intraprese per limitare l’uso di carta. Una misura ad esempio era far costare di più la carta laddove fossero gli stessi impiegati a pagarla. Risultato: pessimo. Consumo di carta diminuito di poco, impiegati incazzati perchè spennati. Tutto diverso dove invece l’azienda semplicemente modificava a livello centrale informatico l’impostazione di default della stampante. In automatico era stata prevista la stampa fronte/retro due pagine per lato. Cambiare le impostazioni rimaneva facilissimo, bastava entrare nell’interfaccia di stampa che esce su word quando dài il comando di stampa. Risultato: consumo di carta dimezzato! I dipendenti semplicemente non entravano nella mascherina a cambiare le impostazioni, sebbene non costasse di più stampare una pagina per foglio.
Gli studi ci dicono che esiste una forza potentissima nell’Umano che è l’inerzia. Non ha un senso politico, e nemmeno filosofico. Semplicemente “non ci va”. Detto in modo poetico: pur di non alzare il culo dal divano e prendere il telecomando della tele sul tavolino a un metro e mezzo da te, saresti disposto a uccidere. Il default “lavora” proprio con questa caratteristica umana innata che abbiamo il “culo pesante”. Lo usa a favore dell’efficienza. Ci sono situazioni e condizioni in cui si sa che le persone non cambiano il default sebbene sarebbe facilissimo fare altrimenti – e forse gli piacerebbe pure di più il risultato se cambiassero quell’impostazione. Ma per tutta una serie di motivi, anche misteriosi, niente da fare: rimani sulla scelta che qualcun altro ha preso per te prima di te.
Questa realtà economico-comportamentale dovrebbe far parte della nostra consapevolezza sociale. Per tre motivi. Anzitutto perché è efficiente. Quando fanno grandi proclami (p.e. sull’ambiente) molto spesso i politici non si curano di sapere se poi le misure promesse funzioneranno. I default possono aiutare a rendere l’amministrazione effettiva senza che l’amministrazione nemmeno debba intervenire. Il secondo è che se l’amministrazione comincia a usare i default, i nudge eccetera, è bene che ci sia una discussione politica sull’entità di utilizzo, sui temi, ma soprattutto su come impostare i vari default. Perchè non sempre gli interessi di efficienza dell’amministrazione corrispondono agli interessi degli utenti, penso in particolare alle assicurazioni sociali, dove lo Stato tende a risparmiare sulla nostra pellaccia pur di non far pagare di più i ricchi.
Infine c’è il tema filosofico. Cass Sunstein e alcuni suoi colleghi economisti comportamentali chiamano l’atteggiamento per cui le decisioni degli individui vengono anticipate dallo Stato con il concetto di “paternalismo libertario”. Loro stessi spiegano che dal profilo teorico tutti gli economisti del mondo li hanno criticati, ma dal profilo pratico tutti seguono la loro impostazione. La loro idea è quella che bisogna garantire a tutti di poter scegliere, ma bisogna aiutare tutti quanti a scegliere bene. Chiaramente ci sono due problemi. Da un lato il tramonto del mito del libero arbitrio. Dall’altro il problema dei concetti di bene e male, molto cari agli americani, puritani nel cuore, per cui c’è sempre qualcuno che sa che cos’è il bene. Noi europei continentali siamo un po’ più scafati dei sempliciotti americani. Sappiamo bene che dietro l’angolo ci sarà sempre un prete o un politico liberale che userà lo Stato per fare gli interessi propri e dei suoi amici – dicendoti che lo fa per il tuo bene! Odiamo che si possa decidere al posto nostro cosa è bene e male: piuttosto obbligateci a far le cose, ma non prendereci in giro sul fatto che lo fate “per il nostro bene”.
Eppure, come possiamo negare completamente che questa idea del paternalismo liberale abbia un certo appeal, considerando tutte le disfunzioni che il nostro sistema incarna oggi, senza migliorare rispetto a ieri? Tutte le misure che vengono proposte, regolarmente falliscono alla prova dei fatti perché o lascian fuori qualcuno, o vengono vissute come un sopruso, sebbene siano state intentate con le migliori intenzioni. Le leggi ormai sono un luogo che divide la società invece che unirla, sono troppe, sono confuse, sono sempre più simboliche, ma soptattutto non incarnano più un programma politico e quindi un’idea collettiva di quali comportamenti sarebbero più desiderabili.
Io penso che nella società quantificata e digitalizzata, ovvero il mondo contemporaneo dove ogni nostro gesto viene registrato in presa diretta, la nostra vita sia ormai messa su dei binari per gran parte delle attività che compiamo nella quotidianità. Ci sentiamo liberi, ma in realtà ascoltiamo la musica che ci consiglia spotify e poco altro. Il passato non era meglio, la religione aveva un ruolo molto più forte che oggi, la vita era più opaca e bigotta. Ma va detto che c’era più spontaneità nel dare forma alla propria vita materiale.
Possiamo evitare questo presente, dove il governo ci martella di pubblicità, cercando di convincerci (di ficcarci nel cranio) che dobbiamo fare la doccia fredda e corta, minacciandoci di tagliarci l’elettricità se non facciamo i bravi e dandoci la colpa se non lo facciamo? Questa è l’ipocrisia del nostro tempo: il governo ci consiglia di fare le cose invece di obbligarci, e se non seguiamo il consiglio è colpa nostra se passa alle maniere forti. Ma perchè non ci obblighi subito, di grazia? Non vuoi prenderti responsabilità?
A questo moralismo ipocrita forse è preferibile il paternalismo libertario. Non lo so, devo ancora decidermi. Certamente non dobbiamo ingannarci, entrambe queste strutture di intervento sul comportamento umano negano la capacità degli individui di agire in modo responsabile e solidale. Ma d’altronde, nella pochezza del nostro mondo virtuale, dove accettiamo qualsiasi novità tecnologica acriticamente “perchè è tutto più comodo ora”, veramente dobbiamo continuare a far finta di essere tutti piccoli eroi autonomi e consapevoli? Io preferisco scendere dal mirtillo.
Se c’è una cosa che mi sembra evidente in questo mondo di crisi costanti è proprio il fatto che l’individuo è messo sul piedistallo, ma contemporaneamente nessuno crede veramente che l’individuo possa fare quello che gli pare.
Sono sincero con chi mi legge: non avrei mai pensato di scrivere queste cose “all’americana”, ma perché non avrei mai pensato di vivere in un mondo come lo stiamo vivendo e da cui non riusciamo a staccarci. È come se sia arrivato al momento di dire addio al libero arbitrio come l’abbiamo conosciuto in modo narrativo negli ultimi secoli. Siamo entrati nel mondo dei binari, non solo quelli del treno, ma anche quelli della nostra quotidianità. Di fronte a questa cruda realtà dobbiamo riuscire a trovare spazi alternativi, nuovi, anzitutto politici.
Ecco che le discussioni sui “default” non sono delle dichiarazioni di sconfitta e di rinuncia all’individualità, ma piuttosto la presa di coscienza che la politica deve riuscire a parlare anche in questa nuova società contemporanea. Dobbiamo riuscire a prenderci ogni spazio di dialogo e di compartecipazione e, uno di questi, mi sembra di poter dire comunque con tutti i dubbi e le riserve del caso, potrebbe essere quello che ci viene aperto dal paternalismo libertario. Non è così? A tutti noi sta cercare alternative, parlando sul serio del mondo di oggi e non di un mondo ipotetico in cui ci piacerebbe tanto vivere, ma che è come l’isola che non c’è.
Filippo Contarini, 23.10.2022
Articolo pubblicato su LeftTicino il 24 ottobre 2022 – http://www.leftticino.ch/articoli/56/paternalismo-libertario-o-moralismo-bigotto-ce-ancora-spazio-per-il-libero-arbitrio/