Sta a noi ora garantire la tenuta democratica della società
La crisi del Coronavirus ci dice anzitutto una cosa: che siamo tutti incaricati di coltivare e difendere la nostra cultura aperta e democratica, basata sulle votazioni popolare e le elezioni libere.
Alcuni giorni fa sono intervenuto a favore dell’annullamento delle elezioni comunali. Il motivo era chiaro: la democrazia si basa – e per quanto possibile deve continuare a basarsi – sul concetto di presenza. Presenza significa: parlarsi, stringersi la mano, “tastare il polso”, sentire rumori e vociare, vedere occhiate di sfida, sedersi gli uni vicino agli altri.
Ho un’esperienza da raccontare legata a questa “presenza” nella politica. Ho fatto campagna elettorale a livello cantonale nel 2011, ero entrato con gioia nel PS da poco tempo. C’era la battaglia politica fra Manuele Bertoli e Mario Branda. Nel PS si erano aperte due fazioni: la “sinistra” del partito sosteneva Branda, mentre la “destra” sosteneva Bertoli. Io non lo sapevo, capii la situazione solo andando ai comizi e agli aperitivi elettorali, c’era un ambiente da tifo da stadio che stupiva, perché dai dati di Smartvote Bertoli stava alla “sinistra” del partito, mentre Branda alla sua “destra”. Senza il comizio non avrei vissuto quell’aspetto “irrazionale”, emozionale tipico della democrazia.
La campagna elettorale fa parte di queste logiche della presenza, ha la funzione che ha il “sangue di San Gennaro” nella religione al sud: dare corpo al feticcio simbolico, dare voce al credo nel futuro, dare sguardi alla costruzione della fiducia. In campagna elettorale il timido giovinotto viene avvicinato dal potente, si può brindare con chi ha in mano le sorti della mia pensione, si costruisce un legame fra rappresentante e popolo, fatto di fili invisibili che collimano con una storia elettorale condivisa. Questo vale ancor di più oggi, in un momento storico in cui il giornale di partito è morto e i media sono diventati solo espressione del potere economico.
La pandemia sta ora mettendo in crisi le strutture della presenza. Sta condannando la stretta di mano, il cincin. Questi sono fatti e non si può certo ignorare la situazione del coronavirus per quello che è. Ma a queste condizioni non si può scappare da una riflessione semplice: se bisogna fare una campagna elettorale in cui la piazza muore, allora bisogna riorientare i regolamenti e le condizioni per la presenza nel sistema mediatico, anzitutto sulla televisione pubblica.
A me fa paura quando si dice che in queste elezioni “i cittadini potevano informarsi da casa e inviare per posta le crocette”. Non fermare tutto sarebbe stato un regalo a chi pensa che la democrazia sia un esercizio formale, come se fosse guardare x-factor. La scelta dei rappresentanti politici è invece anzitutto emozione e presenza. Perché la politica non è una crocetta, ma è un percorso che porta a una crocetta, che è ben diverso.
A noi tutti ora il compito di salvaguardare la nuova democrazia. Dobbiamo creare una nuova regolamentazione per rimediare al casino elettorale dato dal Coronavirus, ovvero:
- dare un sostegno finanziario ai partiti per ripartire con una nuova campagna “riparatrice”;
- garantire per legge delle “finestre” per presentarsi sia sui media classici, in particolare la televisione, sia online;
- il cantone deve aprire un forum elettorale online dove i candidati possano scambiare opinioni con il pubblico, che potrà essere usato anche per le votazioni e le elezioni future.
Annullare le elezioni non può significare menfreghismo, nè un richiamo della giungla del “ghe pensi mi”. Annullare le elezioni deve aver avuto un senso: capire tutti assieme quanto siano importanti; aver capito tutti assieme che non possiamo ridurle a mero momento formale. Sta ora a noi tutti assieme chiedere le garanzie per ricalibrarci e far sì che il confronto elettorale sia equo e onesto, anche laddove la piazza per un certo periodo non si possa più usare.
Filippo Contarini, teorico del diritto
Pubblicato il 21.3.2020 su www.ticinotoday.ch