Non vedo la luce in fondo al tunnel, ma devo diventare quella luce
Ripubblico qui, senza averne i diritti, un testo trovato su Repubblica di Alessandro Bergonzoni, che considero il pensatore di riferimento in Italia di fronte al caos del contemporaneo. Spero non dia fastidio nè all’autore, nè al giornale. F.C.
La terra ferma. Non esiste. La gente adesso sembra esserlo. Che strano: i terremoti ci spingono ad uscire di casa e cercare il riparo del cielo. I virus ci chiedono di stare in quella casa, al riparo: le nostre prigioni? E le altre prigioni?
Cos’è protezione, cos’è civile? I deliri di certe ennesime potenze economiche sono adesso delirio d’impotenza. Non ci resta che capire bene, in questa disperanza. Non vedo la luce in fondo al tunnel: ma devo diventare quella luce, dentro al tunnel. Non è importante solo uscirne ma come. È la fine del modo non del mondo. Tutto torna come dopo.
L’uomo è in pericolo? No, l’uomo è il pericolo. Persone in strada? Nemmeno l’ombra ma la luce la creerà. Intanto gli alberi continuano a fare ombra, alla radice del problema. Il sole scalda comunque, la luna c’è imperterrita, consapevole-inconsapevole. L’aria sembra diventata pura e crede siamo stati noi a decidere di salvarla: non sa che è stato un vantaggio collaterale di un danno mondiale.
Le piante continuano a morire e a nascere (come noi?), gli animali sentono e si avvicinano di più all’uomo, circospetti, come giaguari ma già guariti. La pioggia non cambia tragitto, non c’è verso, se non poetico. Vorrei continuare a vedere un Papa camminare tutti i giorni per le vie di Roma e la gente dalle finestre che lo prega e lo chiama. Il cammino continui. Le gambe? Potrebbero andare ovunque e chissà se si chiedono perché non andiamo più lontano.
Lontano comunque lo siamo, da tutto. Eppure siamo vicini, di muro, di pochi metri. I muri che dividono e andrebbero abbattuti, ora ci preservano. Né ironia né destino. Possiamo solo imparare. Ci tocca non toccarci, ma un urlo potrebbe toccare le orecchie di tanti: facciamolo! Anche se non basterà.
Ci sono felicità che ci fanno sollevare un metro da terra, ma non c’è nessuna felicità ancora se stiamo a un metro dagli altri. Và inventata subito, và cercata, và creata, ora. La radio trasmette, e noi? Possiamo trasmettere ancora di più e con più frequenze. Alle televisioni tolgo le tele e mi faccio di visioni. La divisione non è più solo una operazione ma una umana condizione. La moltiplicazione ricorda contagi.
La somma una delle ennesime previsioni. La parola “mortorio” ha assunto troppi significati diversi.
Non so se essere retto significhi virtù o solo esser sostenuto da qualcosa o da qualcuno che ci salverà, tenendoci in braccio. Parlo per nessuna esperienza. Mi sembro una desinenza in cerca del verbo, non so ancora bene chi è soggetto e a cosa. Il tempo restituito lo regalo, il tempo imposto non so dove metterlo. Il tempo perso finalmente l’abbiamo trovato. La libertà? Ride. La decisione è presa, in giro.
Siamo ancora separati ma non è detto che divorzieremo. Il processo evolutivo adesso è velocissimo seppur virulentissimo. Chi ha detto che non possiamo uscire, di testa? Forse lo eravamo più prima, fuori, in tutti i sensi. E allora qual’è il problema? La soluzione stessa.
E con tutte le mie ossa, rimembro, nell’ozio sforzato, in questo salato far niente, apparente. Carezzo questa nuova nata sanità nazionale e con loro tutti i profughi di cui nessuno parla più, i senza tetto, gli anziani e non solo ma anche chi non avrà più l’età a causa di questa letalità. Non li vedo ma li sento: senz’azione. Che vita ci aspetta, se ci aspetta? Dipende dal nostro ritardo universale accumulato prima.
Ecco perché i mesi non sono più unità di misura ma solo unità. Le ore impazzano, le mete cambiano, a ritmo cessante, i progetti perdono senso e i sensi svengono, ma li dobbiamo rianimare con la nostra respirazione bocca a bocca, quando la fortuna e il suo bacio saranno di nuovo possibili. È l’occasione per rifare l’amore, da capo. È tutto qui? Tutto ora è qui, e non è poco il tutto. Odio gli uccelli far festa?
Che stagione è mai questa? Ultima era, e a seguire, l’è stato. Ci vediamo dopo, dopo tutti gli intanto.
Non vedo la luce in fondo al tunnel: ma devo diventare quella luce. E trovare il tempo perso.
inizio aprile 2020