Superare il capitalismo con Alfonso Tuor: ampio interesse sulla stampa

Giovedì 3 febbraio 2012 il Corriere del Ticino ha pubblicato una mia presa di posizione su un contributo (parte 1, parte 2) di Alfonso Tuor di qualche giorno prima. Vi ripropongo questo mio scritto con un’interessante ed intelligente risposta, anch’essa pubblicata giovedì, di Tuor stesso!

Superare il capitalismo?

È così che Alfon­so Tuor intitola il suo contributo sul CdT del 27 genna­io, richiamandosi al Financial Times. L’articolo cerca di fare il punto della situazione sulla crisi del sistema economico capita­lista basato sulla finanza. Tuor fa nota­re il vuoto politico dopo il fallimento del paradigma neoliberista. Vuoto che, a suo dire, verrà occupato dagli antiglo­balisti e vedrà un fronte ampio di stata­listi e antistatalisti mettersi contro i gran­di potentati finanziari. Lasciando però a secco di strade percorribili l’economia e la politica Vorrei dare una lettura alternativa a quella di Tuor.
L’economia in quanto sistema comuni­cativo ha una funzione, ovvero aiuta a stabilire se un determinato atto sia van­taggioso o meno. La politica (parlamen­tare ed extra-parlamentare), dal suo canto cerca di influenzare questo «siste­ma economia». Imponendo ad esempio visioni a lungo o corto termine o cercan­do di porre considerazioni etiche più o meno solidaristiche.
Se analizziamo gli ultimi decenni non troviamo solo che i politici neoliberisti hanno avuto ampi spazi per cercare di influenzare l’economia. Troviamo pure che il loro progetto era in fase estrema­mente avanzata, e dalla fine degli anni ‘80 sono quasi riusciti a plasmarla del tutto. Basti osservare i rapporti di forza nei punti nevralgici delle decisioni eco­nomiche, come nel Consiglio della Ban­ca Nazionale, o uscendo dallo Stato ma rimanendo nella politica, osservando chi era a capo delle organizzazioni-man­tello dell’economia imprenditoriale. Il sistema politico aveva quindi trovato una strada etica definitiva: competizio­ne, condanna dei deboli, mitizzazione del successo, sperpero delle risorse.
Ciò che stupisce dell’articolo di Tuor è l’omissione che quel mantra etico è lo stesso propugnato della scuola austria­ca, accostata in modo fuorviante ai neo­keynesiani, nonostante sia lei la vera ispiratrice del progetto neoliberista! E nello stesso modo mi sorprende che l’eco­nomista sostenga che in futuro lo spa­zio politico verrà preso dagli antigloba­listi come unica via di fuga vincente. Mi sorprende perché oggi, fra i sostenitori (ormai perdenti) dei grandi global pla­yer (e del loro strapotere informativo) e dei no-global tout court (i romantici Oc­cupy anything), possiamo trovare i so­stenitori del glocal, in cui si accetta il mondo interconnesso e si cerca di garan­tire pari accesso alle informazioni a più partecipanti possibili. E quindi quando il giornalista sostiene, sconsolato, che la politica non fornisce nuove strade per­corribili ricade nell’errore che già More­no Bernasconi fece il 10 novembre 2010, quando sulla prima del CdT pubblica­va un articolo al vetriolo titolato «Le si­rene estremiste dei socialisti» sul con­gresso nazionale del PSS a Losanna. Ber­nasconi affermò che i socialisti avevano deciso di «demonizzare i ricchi brutti e cattivi», automarginalizzandosi nelle «idee massimaliste». Addirittura affer­mò che il PSS aveva deciso, proponen­do obiettivi «tanto radicali», di remare contro le classi lavoratrici «portando ac­qua al mulino della destra».
Ho avuto la fortuna di partecipare a quel congresso, che ha permesso al PS nazio­nale di rinnovarsi, di vincere le ultime elezioni, e di approvare un bel program­ma che propone con il concetto-chiave della «democratizzazione dell’econo­mia» la sua via d’influenza sul sistema economico.
Ma basta osservare la realtà: il sistema capitalistico sta crollando come un ca­stello di carte sul fallimento dell’impo­sizione etica borghese. È la fine del bloc­co informativo imposto da gruppi finan­ziari straindebitati, da service clubs con­niventi, da consigli d’amministrazione iperconnessi fra loro e dal potere simil­tecnicista di alcune università (anche nostrane). Ma soprattutto è l’apertura dell’economia ad altre visioni etiche e di prospettiva. È l’inizio dell’economia li­bera del sapere condiviso. È l’apertura al glocal, alla comunità mondiale del­la rete. Allo scambio complessivo di in­formazioni finalizzato allo sviluppo col­lettivo in tutti gli angoli del globo. Que­sta è la democrazia economica!
Il PSS ha deciso di «rompere (überwin­den) con il capitalismo», capendo subi­to che il sistema stava collassando. Lo scorso luglio disse di averlo capito an­che Charles Moore, duro caporedattore conservatore del Daily Telegraph, non­ché biografo ufficiale di Margareth That­cher. Oggi cominciano perfino il Finan­cial Times e il WEF di Davos.
Di strade per uscire da questo pantano se ne vedono quindi, eccome. È chiaro però che non sarà possibile mantenen­do i rapporti di forza attuali, senza uno scatto etico proveniente dalla politica secondo programmi chiari. Il PSS l’ha fatto, e gli altri?

Filippo Contarini, giurista, Porza


La risposta
:
Desidero innanzitutto ringraziare Filip­po Contarini per l’interessante e stimo­lante contributo, che comunque non mi consente di guardare alla politica in mo­do meno «sconsolato». Credo che la di­vergenza delle opinioni riguardi proprio l’analisi delle cause della crisi. Io ritengo che le cause della crisi siano da ricerca­re in un processo di globalizzazione sel­vaggio, che ha provocato un’esplosione delle disuguaglianze sociali e che è sta­to il volano usato dalla finanza per assu­mere un ruolo dominante. Di fatto, la fi­nanza globale ha giocato un Paese con­tro l’altro per ottenere una totale libertà di manovra (la cosiddetta deregulation). Oggi il capitalismo dominato dalla finan­za è in crisi, ma cerca di sopravvivere at­traverso l’arma del ricatto, che consiste nell’affermare che il fallimento di un grande gruppo finanziario porterà ad una crisi economica di immani proporzioni. In nome di questo ricatti i Governi han­no salvato le banche, caricandosi dei lo­ro debiti, senza imporre alcuna condi­zione. È sotto gli occhi di tutti che la fi­nanza globale comanda a livello politi­co e cerca di imporre ora un nuovo pen­siero unico. Esso consiste nel continua­re ad obbligare Governi e banche cen­trali a continuare a salvare i grandi grup­pi finanziari, imponendo invece alla po­polazione politiche di austerità e rifor­me strutturali per ridurre i costi dello Sta­to, che spesso significano in realtà una riduzione delle prestazioni dello Stato sociale. La classe politica non sembra in grado di rompere questo meccanismo infernale, ridando priorità all’attività del­l’economia reale (una deindustrializza­zione dei nostri Paesi) e imponendo un processo di chiusura delle attività spe­culative e ad alto rischio del settore fi­nanziario. Anzi, i Governi continuano a tremare per l’andamento delle Borse e ora soprattutto degli spread. Di fronte a questa incapacità della politica di offri­re una nuova prospettiva, che tra l’altro consentirebbe anche di superare questa crisi, è giusto che i movimenti di prote­sta (da quelli populistici di destra agli In­dignados) cerchino di riconquistare il potere politico perso dagli Stati, rimet­tendo in discussione non solo le attività del settore finanziario, ma anche lo stes­so processo di globalizzazione. È pure incontestabile che i keynesiani, chieden­do interventi anticiclici degli Stati, rimet­tono in discussione le politiche di auste­rità. Ed è pure certo che la Scuola econo­mica austriaca, che non è da confonde­re con quella monetarista di Chicago, de­nunciando i salvataggi delle banche trop­po grandi per fallire denuncia un’econo­mia, che non è più di mercato, ma che è dominata dai grandi gruppi finanziari. Questa Scuola denuncia pure la crisi di questo capitalismo finanziario, tutt’uno con gli attuali Governi, che non sta cre­ando le premesse per una distruzione creatrice di shumpeteriana memoria . Anzi, questa crisi lascia solo macerie, su cui è difficile se non impossibile costrui­re qualcosa di nuovo. In conclusione, se non si rompono questi meccanismi in­fernali, saremo sempre, volenti o nolen­ti, schiavi dei grandi gruppi finanziari che oggi (nonostante la crisi) detengono il potere sia economico sia politico.

Alfonso Tuor

L’articolo ha colto nel segno!

Non solo Tuor decide di prendere la parola sulla questione.

Anche Eva Feistmann l’11 febbario, sempre sul Corriere del Ticino (vedi qui) decidere di discutere la questione. Sostenendo piuttosto Tuor.

Mentre Sergio Roic, sul Caffè del 12 febbraio scrive un interessante contributo dove supporta le mie tesi, asserendo però che il PSS dovrebbe richinarsi maggiormente sull’argomento. Ecco l’interessante articolo.